Procedura di Valutazione comparativa ad un
posto di Professore Ordinario presso
Settore L-LIN/10, Gazzetta UFFICIALE n.
54 del 11/07/2008.
Il giorno 17/11/2010 alle
ore 9.30, presso i locali del Dipartimento di Scienze Linguistiche e Letterarie
dell’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara, ha avuto luogo
la terza riunione della Commissione costituita per il concorso di cui in
premessa.
Prof. Francesco MARRONI − Presidente
Prof. Mariangela TEMPERA – Membro eletto
Prof. Anna Maria SPORTELLI LIPPOLIS – Membro eletto
Prof. Daniela GUARDAMAGNA – Membro eletto
Prof. Vito CAVONE − Segretario
risulta presente al completo e pertanto la seduta è
valida.
Ogni Commissario, dopo attenta analisi del profilo
curricolare, dei titoli e delle pubblicazioni procede alla formulazione di un
giudizio individuale per ogni candidato, a cui, dopo ampia e approfondita
discussione,
Candidata Mariaconcetta
Costantini
Giudizi individuali:
Giudizio
del Prof. Francesco marroni:
La produzione scientifica di
Mariaconcetta Costantini si caratterizza
per la sua estrema coerenza rispetto a
due aree di ricerca molto ben individuate: la letteratura vittoriana e la
letteratura postcoloniale. In una prima fase del suo lavoro, la candidata ha
privilegiato la poesia vittoriana, pervenendo all’ampia monografia Poesia e sovversione (2000), in cui è
presa in considerazione l’opera poetica, rispettivamente, di Christina Rossetti
e Gerard Manley Hopkins. Muovendosi su un piano comparativo efficacemente
articolato, Costantini dimostra come i due poeti incarnino in modo
significativo i dubbi e i dilemmi della società vittoriana e, per tale ragione,
come entrambi costituiscano, in una scrittura pervasa da codici religiosi
e codici
secolari, un territorio
ideologicamente eterodosso che, sottraendosi alla mera definizione di poesia religiosa,
risulta di difficile classificazione rispetto al panorama letterario
dell’epoca. Sulla base di convincenti e serrate investigazioni testuali, viene
definito lo spazio occupato dalla sperimentazione nel lavoro dei due poeti, di
cui si determinano le rispettive
collocazioni nel loro confronto con le sollecitazioni epistemologiche e con il novum proprio dei discorsi scientifici
dell’epoca. Si tratta di uno studio di indubbia originalità che la candidata
produce dopo una serie di lavori dedicati alla poesia vittoriana che, sul piano
della ricerca, ha modo di verificare metodo e contenuti, secondo una linea di
rigorosa e mai semplicistica attenzione alla dialettica testo/contesto. Insieme
al volume antologico Victorian Poetry
(1999), fra i saggi che anticipano Poesia
e sovversione meritano una menzione particolare per lucidità critica
“Hopkins and the scientific dilemma” (1997), “Christina Rossetti e la poesia
religiosa vittoriana” (1997) nonché due densi articoli sul Thomas Hardy poeta
(1995, 1996). Coerentemente, Costantini ha continuato negli anni successivi la
sua ricerca sulla poesia vittoriana presentando relazioni in importanti
convegni e pubblicando saggi originali e di notevole maturità critica su
riviste di prestigio (Atlantic Critical
Review, Hopkins Quarterly, Thomas Hardy Journal, ecc.) e in
pubblicazioni internazionali (2001, 2002, 2004, 2005, 2007).
A parte l’ambito poetico, la ricerca sul periodo
vittoriano è contrassegnata da una più ampia prospettiva ermeneutica che prende
in considerazione la narrativa e altri generi letterari, senza escludere le
tensioni testuali derivanti dalle ibridazioni generiche. Di particolare rilievo i saggi su scrittori
quali Dickens, Elizabeth Gaskell, Wilkie Collins e R. L. Stevenson, nei quali
Costantini rivela chiarezza dell’esposizione, solidità di formazione e un
metodo di analisi molto raffinato. Il suo lavoro segue anche una linea di
ricerca incentrata sul gotico ottocentesco – da Mary Shelley fino a Richard
Marsh – che ha trovato costante motivo di confronto nella partecipazione a
convegni internazionali e a volumi collettanei. Con la monografia Venturing into Unknown Waters: Wilkie Collins and the Challenge of
Modernity (2008), il coerente percorso di ricerca della candidata produce
un contributo fondamentale nell’ambito degli studi collinsiani. Per la prima
volta, viene proposta una lettura del
corpus narrativo del tutto originale, cioè
Wilkie Collins come espressione di un sentire moderno e relativistico,
lontano dalla semplice definizione sensazionalistica e da interpretazioni
riduttivamente formulaiche. Di qui l’analisi della narrativa collinsiana
attraverso la metafora della navigazione che, quale vero e proprio locus di
strutturalità semantico-immaginativa, si dà anche come paradigma intorno al
quale si costituisce quella che è definita “deriva dell’essere”. Lavoro di
matura riflessione critica, innovativo nel metodo e nell’argomentazione
rispetto alla tradizione critica, Costantini raggiunge tali eccellenti
risultati dopo la pubblicazione di alcuni saggi molto importanti sull’opera di
Collins. In particolare, “From the Gothic Chamber to the
Bloody Lab” (Atlantic Critical Review,
2003), “The Refined Villainess” (University of Bucharest Review, 2005),
“The Lure of The Frozen Deep” (RSV, 2006), “A Land of Angels with Stilettos” (Wilkie Collins Society Journal, 2007).
La candidata è anche autrice
dello studio Behind the Mask (2002)
che, dedicato alla narrativa di Ben Okri, rientra nella linea di ricerca
focalizzata sugli studi postcoloniali. Rispondendo a talune ipotesi incentrate
sull’auto-revisionismo proprio delle nuove voci del romanzo postcoloniale,
Costantini propone una lettura nuova della scrittura okriana.
Nell’interpretazione della candidata, l’opera okriana si struttura facendo leva sulla riscoperta di radici
comuni – sia sul piano immaginativo, sia sul piano più complesso e articolato
del mito – nell’arte africana e quella europea. Ne deriva un macrotesto
narrativo che, nel momento in cui si colloca al di là del discorso politico e
della formula anticoloniale, riesce a ritagliarsi uno spazio dialogico che
rinvia alla grande tradizione del canone occidentale, a partire dal
romanticismo fino alle mitologie e ai modelli letterari del postmoderno. Oltre
ad avere pubblicato importanti articoli sull’opera di Okri e sul romanzo
africano, Costantini ha scritto stimolanti lavori su Angela Carter, Sarah
Waters e altri autori contemporanei. Anche in questo ambito della sua ricerca
risulta evidente come l’analisi del
testo letterario non sia considerato un processo di disambiguazione semplice,
ma al contrario un lavoro in cui metodologia e approfondimento critico vanno
sottoposti a continua verifica nel vivo del testo.
Nel complesso, le pubblicazioni di Mariaconcetta
Costantini delineano il quadro di una ricerca ricca e articolata che,
sviluppandosi senza discontinuità in un
ampio arco di tempo, testimoniano la sua maturità critica. Condotta con estrema
coerenza, limpidezza di scrittura e solidità di impianto metodologico, la
ricerca ha prodotto risultati di assoluto rilievo internazionale, che
confermano la piena idoneità della candidata a ricoprire un posto di prima
fascia per il settore scientifico-disciplinare per il quale la valutazione
comparativa è stata bandita.
Giudizio
della Prof. MARIANGELA TEMPERA:
Laureata presso l’Università di Pescara nel 1990,
MARIACONCETTA COSTANTINI ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2000. E’ Professore Associato di Letteratura
Inglese presso l’Università di Chieti-Pescara dal 2001. E’ nel comitato di
redazione e scientifico di riviste anche a livello internazionale (Gothic
Studies, The Hopkins Quarterly, Merope,
ecc.). Ha svolto un’intensa attività didattica e ha ricoperto diversi ruoli
istituzionali. E’ membro dell’Executive Board dell’ International Gothic
Association.
Ha dedicato un elevato
numero di studi critici alla letteratura dell’epoca vittoriana e al suo
influsso sulla letteratura del Novecento. I suoi lavori hanno trovato
collocazione anche in volumi e riviste straniere: Victorian Poetry (Winter
2008) per un saggio su Hopkins, Critical Survey (2006) per un saggio su
“Faux-Victorian Melodrama”, Gothic Studies (May 2002) per “Reconfiguring
the Gothic Body in Postmodern Times”. I suoi saggi su Wilkie Collins sono stati
rielaborati all’interno di un elegante studio monografico dedicato a
quest’autore: Venturing into Unknown Waters (2008). Il suo più
approfondito e originale contributo agli studi vittoriani è rappresentato dal
volume Poesia e sovversione (2000). Un secondo filone di ricerca è
rappresentato dalla letteratura africana anglofona con saggi su Chinua Achebe
(“Nella foresta degli igbo”, 1995 e “La trilogia di Chinua Achebe”, 1999) e
diversi saggi e una biografia, di carattere più divulgativo, di Ben Okri
(2002).
La candidata è una studiosa
originale, produttiva e pienamente matura.
Giudizio
della Prof. ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:
Il profilo didattico e scientifico della Prof.
Mariaconcetta Costantini è caratterizzato da un’intensa e costante attività,
che si è articolata in diverse direzioni. Sul piano dell’impegno didattico, la
prof. Costantini ha tenuto numerosi insegnamenti di Letteratura Inglese sia per
i Corsi di Laurea Triennali, sia per i Corsi di Laurea Specialistica, oltre che
in molteplici altri ambiti (Scuola Superiore di Dottorato di Ricerca, SSIS,
D.U.T.I., Master di Anglistica, ed altri). La produzione scientifica della
prof. Costantini è copiosa, costante sotto il profilo della continuità
temporale, improntata ad una scrupolosa riflessione sui testi oggetto di
indagine e sui sistemi culturali di appartenenza, e di respiro internazionale.
Vittorianista per formazione, la prof. Costantini ha saputo espandere e
diversificare i suoi interessi di ricerca, fino ad includere nel suo percorso
lo spazio della contemporaneità; esemplare di tale interesse è l’attenzione
critica rivolta ad Angela Carter, ma anche, e particolarmente, a voci dalle
nuove letterature di lingua inglese, come lo scrittore nigeriano Ben Okri
(2002), cui la candidata dedica un corposo studio monografico, mirato ad
esplorare i fondamenti della sua poetica, in cui la funzione centrale
dell’artista nella comunità e il suo conseguente ruolo fondante nel suo
percorso identitario segnano il profilo di riflessione metatestuale che
caratterizza molta della sua narrativa, e sono l’oggetto dell’esame attento e
accurato della studiosa.
Apparso nel 2008 per le edizioni Tracce di Pescara, Venturing into Unknown Waters: Wilkie
Collins and the Challenge of Modernity rappresenta invece lo studio
monografico più recente nel percorso di ricerca della prof. Costantini, e si
offre al lettore come un volume estremamente compatto e coerente, frutto di un
lavoro di anni, testimoniato da numerosi altri saggi, in cui l’attento sguardo
critico esamina l’esperienza intellettuale e artistica di una figura
difficilmente catalogabile, quale quella di Wilkie Collins, investigando i
termini della sua appartenenza alla
temperie vittoriana, e rilevandone programmaticamente quegli elementi di
dissonanza che lo avvicinano invece in modo sottile e profondo ai modelli e
alla percezione del mondo che identificano la modernità e il suo disagio.
Attraverso la lente del macrotesto collinsiano,
assunto come oggetto d’indagine privilegiato e come obliquo strumento di
interpretazione del più ampio contesto culturale nel quale esso fu prodotto, la
studiosa rintraccia nitidamente le coordinate complesse e contraddittorie che
articolano la inquieta plurivocità dell’età vittoriana. Entrano così in
dialogo, nella prima parte dello studio, accomunati dall’isotopia del mare e
dalla imagery legata a tale figura
dall’altissimo potenziale simbolico, i racconti di Household Words, così come gli altri luoghi letterari della celebre
collaborazione fra Collins e Dickens, nonchè le esperienze di scrittura
successive, in cui dapprima si profila e poi si rinforza la posizione
eccentrica di Collins, mentre la
relazione fra i due scrittori diviene quasi paradigma della
problematica, a volte dissacrante collocazione di Collins nel suo tempo; a
titolo puramente esemplare, si segnala la fine analisi che la studiosa compie
del racconto a quattro mani “The Perils of Certain English Prisoners,” apparso
su HW del dicembre 1857, e in cui il
profilo ideologico del contributo di Collins – un capitolo su tre – non solo ne
marca il distacco dalle posizioni conservatrici di Dickens in tema di racial/class politics, ma ne articola la sottile sovversione anche in termini
formali.
Accanto ai due studi sopra citati, si segnala
l’altro importante studio monografico, più distante nel tempo (1999), dedicato
alla poesia di Christina Rossetti e Gerard Manley Hopkins, di cui vengono
esplorati in parallelo la ricerca estetica e il percorso
conoscitivo-spirituale.
Fra le curatele,si segnalano il volume La letteratura vittoriana e i mezzi di
trasporto: dalla nave all’astronave (co-ed. F. Marroni, R. D’Agnillo, 2006)
e il numero doppio della rivista Merope
(co-ed. J. Woolford, 35-36: 2002) dedicato a Victorian Landscapes che testimoniano della sua attività di
coordinazione e della sua
partecipazione a gruppi di ricerca
nazionali ed internazionali. Corposa anche l’attività della studiosa come traduttrice
e curatrice, di Elizabeth Gaskell, Charles Dickens, Ben Okri, testi sempre
introdotti e annotati. Considerevole è anche il suo impegno in attività
redazionali: si segnalano il suo ruolo di condirettore della rivista Merope, la sua presenza in comitati
scientifici e di redazione di diverse riviste internazionali. Nel complesso la
produzione scientifica della candidata si pone in tutta la sua eccellenza e
pertanto ella risulta pienamente matura per il ruolo della presente valutazione
comparativa.
Giudizio
della Prof. DANIELA GUARDAMAGNA:
La produzione di Mariaconcetta Costantini è assai
vasta e articolata, e si muove a livello nazionale e internazionale; le due
principali linee di ricerca sono rivolte al periodo vittoriano e alle
letterature post-coloniali, in particolare quella nigeriana, dove spicca il
volume dedicato a Ben Okri.
Alla prima linea di ricerca si possono far risalire
vari volumi e articoli. Innanzi tutto la bella monografia su Hopkins e Rossetti
(Poesia e sovversione. Christina
Rossetti, Gerard Manley Hopkins, Pescara 2000), dove è prevalente l’accento
sull’aspetto del dialogo – del poeta più giovane con la poetessa più anziana,
ma anche di aspetti dialetticamente complementari della produzione e visione
del mondo dei due poeti, in particolare la relazione complessa e problematica
tra razionalità e fede.
Interessante anche il volume su Wilkie Collins (Venturing into Unknown Waters: Wilkie
Collins and the Challenge of Modernity, Pescara 2008) basato, come la
maggioranza delle opere di Costantini sul vittorianesimo, su una lettura
“fluida” (non solo in senso baumanniano) del periodo, di cui l’autrice mette in
risalto la complessità non univoca o monolitica, ma appunto dialogica e porosa.
Viene presa in esame la lunga collaborazione di Collins con Dickens, dal quale
lo separa una visione politica e sociale meno ortodossa; l’opera di Collins è
letta attraverso una serie di griglie, le metafore nautiche delle narrazioni
marinare nella prima parte, poi il suo rapporto con l’alterità ad esempio
razziale e con la disability. In
questo testo, come anche nel volume su Ben Okri, Costantini si libera a mio
avviso felicemente da una utile ma inizialmente un po’ troppo insistita
terminologia di tipo teorico, giungendo a una scrittura critica più libera ed
elegante.
Entrambi i volumi di cui abbiamo detto, come Costantini dichiara nelle note
introduttive, sono stati preparati da vari saggi pubblicati in Italia e
all’estero: si vedano gli scritti su Collins apparsi sulla Atlantic Critical Review (2003), su Englishes (2004), su Rivista
di Studi Vittoriani (2006), nel volume (curato dalla candidata con
D’Agnillo e Marroni) La letteratura
vittoriana e i mezzi di trasporto: dalla nave all’astronave (Roma 2006), e
i molti saggi su Christina Rossetti e/o Hopkins pubblicati sulla Hopkins Quarterly (2001), nel
Festschrift in onore di Mohit K. Ray (Widening
Horizons, New Delhi 2005), nei volumi Before
Life and After (Pescara 2000), Il
punto su Christina Rossetti (Pescara, 1997), ancora su RSV (1997), in Outsiders
Looking in. The
Rossettis then and now (London, Anthem Press,
2004) e su varie altre riviste. Meritano una citazione a
parte gli articoli “‘Striding High There’: Hopkins’ Poetic Achievements” (in Hopkins Variations, Philadelphia 2002),
e “‘Coping with Chaos’: A Reading of Macbeth
and ‘The Windhover’” (2002) in cui si analizzano in modo convincente gli echi
shakespeariani, in particolare le immagini di disordine innaturale, presenti in
Hopkins.
Alla linea di ricerca dedicata al vittorianesimo si
devono far risalire anche la curatela del numero doppio di Merope dedicato ai Victorian
Landscapes, con John Woolford (2002), a cui Costantini contribuisce anche
con un saggio su Stevenson, e il volume
sulla poesia vittoriana Victorian Poetry,
con Nicola De Marco (Milano 1999) in cui Costantini si occupa ancora di
Hopkins, Rossetti e di Thomas Hardy.
A Ben Okri e alla narrativa nigeriana, come si
diceva, sono dedicati vari saggi pubblicati in Italia e all’estero, e il volume
Behind the Mask. A Study of Ben Okri’s
Fiction (Roma, Carocci 2002), dove –
sulla scorta di alcune dichiarazioni dell’autore – si discute l’etichetta di
realismo magico e si analizzano tre fasi della scrittura di Okri, quella dei
racconti, quella dei Künstlerromane e
quella della trilogia pubblicata negli anni ’90 (The Famished Road, Songs of
Enchantment e Infinite Riches) in
cui i momenti metanarrativi sono giustamente individuati come centrali
all’espressione della sua poetica.
Vanno segnalate anche due edizioni di testi con
traduzione e introduzione o postfazione, Elisabeth
Gaskell. Storia di un signorotto di campagna e altri racconti (Napoli 1966)
e Charles Dickens, I racconti del
soprannaturale, Chieti 1995.
Tra i molti altri articoli e recensioni (più di
cinquanta), oltre a quelli che si muovono nei due ambiti di ricerca che abbiamo
individuato segnaleremo il saggio su Hardy pubblicato sul Thomas Hardy Journal (2001), l’interessante articolo sul romanzo
tardo-gotico The Beetle di Richard
Marsh (Heidelberg 2006), i vari articoli dedicati a Elizabeth Gaskell (su The Gaskell Society Journal e nel volume
Elizabeth Gaskell, Text and Context,
Pescara 1999), e alcuni articoli ‘novecenteschi’, tre dedicati ad Angela Carter
e uno a Raymond Carver, sempre molto precisi e informati.
La ricca, articolata e perspicua produzione della
candidata la identifica come studiosa dalla raggiunta piena maturità critica e
scientifica.
Giudizio
del Prof. VITO CAVONE:
La
prof. Costantini è autrice di tre importanti
volumi monografici, di cui due (Poesia
e sovversione. Christina Rossetti, Gerard Manley Hopkins, 2000; Venturing into Unknown Waters: Wilkie
Collins and the Challenge of Modernity, 2008) vertono su autori vittoriani
appartenenti alla produzione mainstream, e il terzo (Behind the Mask. A Study of Ben Okri’s Fiction 2002) si occupa
dello scrittore nigeriano nell’ambito della letteratura postcoloniale.
Questi ( il romanzo
e la poesia vittoriani e il romanzo postcoloniale) rimangono gli ambiti
in cui si sviluppano gli interessi e la ricerca della candidata, che si
articola in una copiosa e puntuale produzione di oltre 50 saggi, che nel
settore vittoriano prendono in esame altri autori come M. Shelley, Dickens,
Gaskell, Stevenson, Hardy ed altri minori; e nel campo postcoloniale inglobano
l’altro romanziere nigeriano Chinua Achebe
e lo scrittore anglo-indo-pakistano S. Rushdie. Ciò non impedisce
incursioni nella narrativa moderna (Angela Carter), la poesia moderna (Charles
Tomlinson) e la narrativa americana (Wharton, Carver).
Si evidenziano anche interessi traduttologici, sia
sul piano teorico, sia su quello pratico come dimostrano le belle traduzioni di
Gaskell, Dickens e Okri, complete di introduzione/postfazione, oltre alla
curatela di due volumi.
La
produzione della candidata Costantini rivela nella sua varietà e vastità una
costante coerenza critica ed una raggiunta maturità.
Giudizio collegiale:
Gli interessi scientifici di
Mariaconcetta Costantini si focalizzano su due precise aree di ricerca, la
letteratura vittoriana e la letteratura dei paesi di lingua inglese, su cui si
articola una produzione di alto livello, sul piano sia nazionale che internazionale. In ambito vittoriano, si
collocano le monografie Poesia e
sovversione: Christina Rossetti e Gerard Manley Hopkins (2000) e Venturing into Unknown Waters: Wilkie
Collins and the Challenge of Modernity (2008). Il lavoro su Rossetti e Hopkins è un contributo approfondito e originale che,
ponendo l’accento sull’aspetto dialogico,
fa risaltare come i due poeti incarnino in modo significativo i dubbi e
i dilemmi della società vittoriana. Si tratta di uno studio di indubbia
originalità a cui la candidata perviene dopo una serie di lavori dedicati alla
poesia vittoriana, che sul piano della ricerca ha modo di verificare metodi e
contenuti, secondo una linea di rigorosa e mai semplicistica attenzione alla
dialettica testo/contesto. Il volume su Collins è una lettura fluida (non solo
in senso baumanniano) del periodo, di cui la candidata mette in risalto la
complessità non univoca ma, appunto, dialogica e “porosa”. In ambito postcoloniale
s’inscrive la monografia Behind the Mask
(2002) che, dedicata alla narrativa di Ben Okri, ne analizza le tre fasi:
quella dei racconti, dei Künstlerromane
e della trilogia degli anni novanta (The
Famished Road, Songs of Enchantment e
Infinite Riches). Si tratta di un
corposo studio monografico mirato ad esplorare i fondamenti della poetica di
Okri, in cui la funzione centrale dell’artista nella comunità e il conseguente
ruolo fondante nel suo percorso identitario segnano il profilo di riflessione metatestuale
che caratterizza molta della sua narrativa. Nelle due aree privilegiate di
indagine della candidata si sviluppa la sua ricerca attraverso una copiosa e
puntuale produzione di oltre cinquanta saggi tra cui, di particolare rilievo,
gli studi su scrittori quali Dickens, Elizabeth Gaskell, Wilkie Collins e R. L.
Stevenson, nei quali Costantini rivela chiarezza dell’esposizione, solidità di
formazione e un metodo di analisi molto raffinato. Il lavoro della candidata
segue anche una linea di ricerca incentrata sul gotico ottocentesco – da Mary
Shelley fino a Richard Marsh – che ha trovato costante motivo di confronto
nella partecipazione a convegni internazionali e a volumi collettanei. Nel
campo postcoloniale viene affrontato un altro romanziere nigeriano, Chinua
Achebe, e lo scrittore anglo-indo-pakistano Salman Rushdie con pregevoli
risultati. Nel complesso, le pubblicazioni di Mariaconcetta Costantini
delineano il quadro di una ricerca vasta e approfondita, sempre condotta con
piena maturità critica ed estrema
coerenza, con risultati che la collocano ad un livello di assoluto rilievo nel
panorama degli studi anglistici.
La candidata
mostra, pertanto, la piena idoneità a ricoprire un posto di prima fascia per la
presente valutazione comparativa.
Candidato NICOLA DE MARCO
Giudizi individuali:
Giudizio
del Prof. FRANCESCO MARRONI:
Nel suo percorso di ricerca,
il candidato Nicola De Marco presenta due aree
in cui, con maggiore continuità, ha prodotto lavori che possono essere
considerati un significativo contributo alla disciplina: letteratura vittoriana
e modernismo. Dopo un primo saggio di
esordio su Middlemarch (1978), si
distinguono per coerenza metodologica e analisi testuale l’articolo “Browning,
Shelley and the Keatsian Concept of
Negative Capability” (1996), un saggio molto ben scritto e documentato su The Egoist di Meredith (1996) nonché uno
studio comparativo su Christina Rossetti e Browning (1997). Si tratta di una
linea di ricerca che segna un momento importante con la monografia su The Ring and The Book di Browning (2002)
che, dal punto di vista della preparazione, può essere considerato uno studio
di piena maturità critica. Sulla base della critica neostoricista, e senza
omettere l’intervento cooperativo di altri apporti metodologici, il volume si
struttura attorno alle “linguistic approximations of truth” e alla funzionalità
epistemologica del monologo drammatico, pervenendo a risultati di indubbia
originalità. Sui temi della poesia vittoriana va segnalata anche l’antologia Victorian Poetry (1999), che è una
ulteriore testimonianza della continuità della sua ricerca nell’ambito degli
studi vittoriani.
In parte raccordando gli studi sulla poesia vittoriana
alla sua ricerca sul modernismo (si veda il nesso Browning/Joyce), De Marco presenta
la monografia Liberty and Bread: The
Problem of Perception in Conrad (1991), in cui l’analisi del romanzo Under Western Eyes viene condotta
attraverso la lettura serrata dei singoli movimenti testuali, offrendo un
quadro ermeneuticamente molto convincente delle oscillazioni sia delle
coscienze dei protagonisti, sia del linguaggio che attualizza i dati della
percezione. Più recentemente, il candidato ho prodotto anche un denso saggio
sullo Ulysses di Joyce (2007) e la
monografia The Early Joyce and the
Writing of “Exiles” (2008). In particolare, quest’ultimo lavoro si
distingue per originalità di approccio, ricchezza della documentazione e
unitarietà del discorso critico intorno al tema dell’artista e del suo
movimento verso la maturità. Da questa angolazione, il candidato considera Exiles un testo cruciale per comprendere
la tematica relativa alla definizione di sé e quindi anche alla formazione
artistica nel contesto dell’intera opera joyciana. Strutturato secondo una
chiara linea argomentativa, il volume rivela solida metodologica, chiarezza
espositiva e capacità di lavorare con esiti ragguardevoli anche su un
territorio molto frequentato quale l’opera di Joyce. De Marco è anche autore di
un’acuta analisi di The Salterton Trilogy
(1996) di Robertson Davies, in parte annunciata da precedenti saggi (1989,
1995), che, in prospettiva junghiana,
trattano con molta competenza aspetti dell’opera del narratore canadese.
Non meno importanti due articoli su John Bunyan (1997, 1999), che mostrano
l’intersecarsi criticamente produttivo degli interessi di De Marco che, nelle
varie sfaccettature della sua ricerca, mette in evidenza rigore critico e
positiva versatilità.
Considerate nell’ampiezza del percorso critico, le
pubblicazioni di De Marco mostrano uno studioso che ha raggiunto la piena
maturità e, ai fini della valutazione comparativa in argomento, confermano
l’idoneità del candidato a ricoprire un posto di prima fascia per il settore
scientifico-disciplinare L-LIN/10.
Giudizio
della Prof. MARIANGELA TEMPERA:
Laureato nel 1978 all’Università di Carleton,
Ottawa, NICOLA DE MARCO è Professore Associato di Lingua e Letteratura Inglese
presso l’Università di Chieti-Pescara dal
La produzione scientifica
del candidato comprende, fra gli altri: un incisivo saggio su Bunyan Studies
(1998), una serie di saggi di taglio divulgativo su autori dell’Ottocento
(“Semantic Tangles and the Generation of Narrative Structure in Northanger
Abbey”, 1994, è il più approfondito). Uno studio monografico su Joseph
Conrad, Liberty and Bread (1991)
alterna incisivi commenti al testo a pagine più inutilmente riassuntive. Il suo
studio su The Salterton Trilogy of Robertson Davies (1996) costituisce
una buona introduzione all’opera dello scrittore canadese. A James Joyce ha
dedicato un acuto saggio, “ ‘Oxen of the Sun’ and the Gestation of the Word”
(2007) apparso su un volume collettaneo della UP of Florida e una monografia, The
Early Joyce and the Writing of ‘Exiles’ (2008), ben documentato ma
scarsamente originale. Il suo contributo monografico più importante
all’anglistica è Robert Browning’s ‘The Ring and the Book’: A Critical
Appraisal, un lavoro in cui getta le basi per un’interessante rilettura del
testo che però non trova piena elaborazione nel volume.
Il candidato è uno studioso
promettente che deve ancora trovare una voce critica completamente autonoma.
Giudizio
della Prof. ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:
La produzione scientifica del candidato Nicola De
Marco si articola in più filoni di indagine che coprono l’arco temporale
1991-2008. E’ del 1991 il suo primo lavoro monografico Liberty and Bread. Problems of perception in Conrad. A
critical study of Under Western Eyes, caratterizzato da una scrittura
descrittivo-constativa che toglie pregnanza
a molti luoghi dello studio. La cifra proposta per una lettura di Under Western Eyes risiede
nell’esplorazione dell’ingannevole percezione e nella unreliability di
una lettura solo “retinica” della realtà, problematica che coinvolge naturalmente anche la prospettiva autoriale e la sua
frizione con la prospettiva del
narratore. La lezione di Northrop Frye informa l’assunto di fondo dello studio
sulla trilogia di Robertson Davies (The Salterton Trilogy, formata dai
romanzi Tempest-Tost, Leaven of Malice e A Mixture of Frailties),
assunto che permette allo studioso di porre Davies nel solco della satira di
matrice anglosassone da Burton a Waugh. L’analisi coerentemente ne individua
inoltre i cores narrativi, vere matrici generative della narrazione, The
Tempest di Tempest-Tost, The Book of the Common Prayer per
The Leaven of Malice e la frizione fra afflato religioso e coscienza
individuale in A Mixture of Frailties. Il contrappunto fra The Yellow
Book e la dimensione epico-
narrativa è alla base dello studio su Browning dal titolo Robert Browning’s The
Ring and the Book. A Critical Appraisal. Il volume si snoda in due
macrosezioni in cui le problematiche storiografiche poste dal testo di Browning
e le relazioni con le fonti, ben si coniugano con l’approccio new historical
utilizzato dallo studioso, mentre la seconda macrosezione opportunamente indaga
il testo e la sua presupposizione di verità per chiudersi con l’appello alla
‘poetic experience’ del lettore, luogo ultimo di testualizzazione dell’opera.
Al controverso testo drammatico del primo Joyce è dedicata l’ultima parte dello
studio monografico del 2008. Il nodo biografico, che in maniera diretta o
obliqua appare nel primo Joyce, è indagato in maniera puntuale e utilmente
l’autore introduce sia i primi esperimenti che hanno portato alla scrittura di A
Portrait, sia all’unico esperimento drammatico dello scrittore. Si
segnalano inoltre, oltre ai saggi preparatori ai volumi, come ad esempio “What’s
Bred in the Bone: Robertson Davies’s artistic Transmutation of C.G. Jung’s
Concept of Individuation” e “Robertson Davies’s Tempest Tost - ‘a kind
of play without theatre’”, altri contributi nell’ambito della letteratura
irlandese e della letteratura romantica inglese. I volumi intesi
all’insegnamento della lingua inglese e francese e relativi ai linguaggi
specialistici non possono essere valutati in quanto non congruenti con il
settore scientifico disciplinare per cui il candidato concorre.
Nel complesso la produzione presentata, pur copiosa,
non raggiunge i livelli di eccellenza attesi.
Giudizio
della Prof. DANIELA GUARDAMAGNA:
La produzione di Nicola (Nick) De Marco non sembra
evidenziare precise linee di continuità; le sue quattro concise monografie, non
prive di meriti e spesso ben scritte, sono dedicate a un autore minore
contemporaneo, il critico-attore-romanziere Robertson Davies, al poemetto di Browning The Ring and the Book, al primo Joyce e
al Conrad di Under Western Eyes.
Il
volume d’esordio, Liberty and Bread: The
problem of perception in Conrad. A critical study of ‘Undern
Western Eyes’ (Chieti
1991) indaga il complesso romanzo conradiano con convincenti ipotesi
interpretative, in particolare la unreliability
del narratore, l’ispirazione dostoevskiana (nella convincente analogia tra
Haldin e il Cristo dei Karamazov) e
il turbato interesse, in Conrad, per l’inevitabilità del tradimento e del
fraintendimento della realtà. In questo testo, dotato di un certo spessore
critico, De Marco non ha ancora sviluppato il gradevole stile delle opere
successive, e la sua scrittura risulta a tratti troppo irta e autoreferenziale.
La seconda monografia (The Salterton Trilogy of Robertson Davies, Pescara 1996) analizza
in dettaglio la figura pubblica dell’autore e i tre romanzi che compongono la
trilogia in questione, Tempest-Tost,
Leaven of Malice e A Mixture of
Frailties, indugiando talvolta troppo lungamente sulla pura descrizione dei
testi. L’analisi giunge poi a prospettare l’utile categoria di satira menippea proposta da Northrop
Frye e a porre Davies nella tradizione non puramente narrativa, ma piuttosto
satirico-intellettuale, che va da Burton a Swift a Peacock a Huxley a Waugh.
Il volume su Browning (Robert Browning’s The Ring and the Book: A Critical Appraisal, Pescara 2003) indaga il rapporto riccamente
problematico che l’autore ha con la storia, e legge il poema drammatico
analizzando il complesso gioco tra fonte (lo Yellow Book) e trasfigurazione
narrativa, identificando nelle variazioni dello stile (vedi ad esempio la
valutazione delle quattro modalità di allitterazione proposta da Beatty, p.
119) la creazione di un mondo dove ogni personaggio ha una sua identità precisa
e non facilmente schematizzabile.
Il volume The
Early Joyce and the Writing of Exiles (Aracne 2008) ambienta la produzione
joyciana in una documentata analisi della sua biografia e dei suoi studi,
ricordando i traumi infantili che vengono poi filtrati nella scrittura,
analizzando il forte interesse per Ibsen e poi per Hauptmann e D’Annunzio, e
attribuisce – in modo piuttosto convincente – un ruolo assai rilevante alla
scrittura di Exiles, che
esorcizzerebbe l’orrore del tradimento e consentirebbe all’autore di
riaffrontare serenamente il pericoloso tema nella visione trasfigurata dello Ulysses.
Nell’antologia Victorian
Poetry (Milano 1999) curata con Mariaconcetta Costantini De Marco ha
trattato la poesia di Tennyson e di Browning.
I numerosi saggi, oltre ad alcuni che preparano i
volumi, spaziano da Yeats a Bunyan (riproposto in due edizioni, su Merope nel 1997 e su Bunyan Studies nel 1999), da Blake a
Jane Austen, da Meredith a Conrad, da George Eliot a Calvino e a Joyce. Da
segnalare il lungo saggio sul personaggio di Strether nel jamesiano The Ambassadors.
Alcune pubblicazioni (Pass It! A University Handbook for Italian Students, Manage Your English e Le Français de Affaires) non sono state
considerate in quanto riconducibili ad altro settore scientifico-disciplinare.
Nonostante alcune pregevoli acquisizioni evidenti
nei testi esaminati, la produzione critica di Nicola De Marco non rivela ancora
una piena maturità scientifica che possa definirlo come idoneo in una
valutazione per la prima fascia.
Giudizio
del Prof. VITO CAVONE:
Il prof. De Marco sviluppa la sua produzione
prevalentemente in due campi e periodi specifici : vittorianesimo e modernismo,
cui appartengono i suoi contributi più interessanti. Nel primo campo si notano
i saggi su G. Eliot, Meredith e soprattutto Browning, al cui The Ring and the Book è dedicata una
densa monografia. Al modernismo si riconnettono i contributi monografici su
Conrad e Joyce.
Interessante ma isolato appare il volume sulla
trilogia Salterton dello scrittore canadese Robertson Davies.
Presenta inoltre due buone co-curatele: Fiction in Transition e Victorian Poetry.
Il percorso critico del candidato rivela acutezza di
analisi ma una non completa maturazione.
Giudizio
collegiale:
Il candidato Nicola De Marco sviluppa la sua
produzione prevalentemente in due campi e periodi specifici: vittorianesimo e
modernismo, cui appartengono i suoi contributi più interessanti. Nel primo si
notano i saggi su G. Eliot, Meredith e soprattutto Browning, al cui The Ring and the Book è dedicata una
densa monografia. Al modernismo si riconnettono i contributi monografici su
Conrad e Joyce. La prima monografia, Liberty and Bread: The problem of perception in Conrad. A critical study of ‘Undern Western Eyes’ (1991), indaga il complesso
romanzo conradiano con convincenti ipotesi interpretative, in particolare la unreliability del narratore,
l’ispirazione dostoevskiana (nella convincente analogia tra Haldin e il Cristo
dei Karamazov) e il turbato interesse
per l’inevitabilità del tradimento e del fraintendimento della realtà. In
questo testo, dotato di un certo spessore critico, De Marco non ha ancora
sviluppato il gradevole stile delle opere successive, e la sua scrittura
risulta a tratti troppo irta e autoreferenziale. La seconda monografia, uno
studio su The Salterton Trilogy of Robertson Davies (1996), costituisce
una buona introduzione all’opera dello scrittore canadese. A James Joyce è
dedicato un acuto saggio, “ ‘Oxen of the Sun’ and the Gestation of the Word”
(2007), apparso su un volume collettaneo della UP of Florida, nonché una
monografia, The Early Joyce and the Writing of ‘Exiles’ (2008), ben
documentato ma scarsamente originale. Si tratta di un lavoro che ambienta la
produzione joyciana in un’analisi della sua biografia e dei suoi studi,
ricordando i traumi infantili poi filtrati nella scrittura, analizzando il
forte interesse per Ibsen e poi per Hauptmann e d’Annunzio e attribuendo un
ruolo assai rilevante alla scrittura di Exiles,
che esorcizzerebbe l’orrore del tradimento e consentirebbe all’autore di
riaffrontare serenamente il pericoloso tema nella visione trasfigurata dello Ulysses. Il volume su Browning (Robert Browning’s The Ring and the Book: A Critical Appraisal, 2003) indaga il
rapporto riccamente problematico che l’autore ha con la storia, e legge il
poema drammatico analizzando il complesso gioco tra fonte (lo Yellow Book) e
trasfigurazione narrativa, identificando nelle variazioni dello stile la
creazione di un mondo dove ogni personaggio ha una sua identità precisa e non
facilmente schematizzabile. Il lavoro getta le basi per un’interessante
rilettura del testo, ma non riesce a
darne una piena elaborazione nel volume.
Il percorso critico del
candidato rivela acutezza di analisi, ma una maturazione non pienamente
raggiunta.
Candidata
CARLA DE PETRIS
Giudizi
individuali:
Giudizio
del Prof. FRANCESCO MARRONI:
La candidata presenta una
produzione scientifica che si è sviluppata nell’arco di oltre trent’anni, ponendo sempre in primo piano la letteratura
e la cultura irlandese su cui dimostra
di avere ampie competenze non disgiunte da un attivo e appassionato
impegno in direzione di una diffusione e promozione degli studi letterari
anglo-irlandesi in Italia. Nel suo lungo
e fruttuoso percorso Carla De Petris ha affrontato diversi aspetti della
letteratura irlandese, con risultati che vanno da un ammirevole lavoro divulgativo
(come, ad esempio, nel caso delle voci enciclopediche, citate nel curriculum vitae e non incluse fra i
pubblicazioni da valutare) ad approfondimenti critici di indubbio valore
scientifico. Oltre alla curatela dei due volumi
The Cracked Lookingglass –
Contributions to the Study of Irish Literature (1999) e Continente Irlanda – Storia e scritture
contemporanee (2001), va menzionata l’intervista (2007, Irish University Review) a Eiléan Ní
Chuilleanáin in cui si parla del Grand
Tour, del rapporto Irlanda/Italia e che si conclude con la traduzione della
poesia “Crossing the Loire” a firma della candidata. Impegnativo e importante
il volume “Traduzioni” e altri drammi
(1996) nel quale sono tradotti con buoni risultati tre lavori teatrali di Brian Friel: “Faith Healer”, “Translations” e
“Dancing at Lughnasa”. Il volume si avvale anche di un’introduzione (“Friel, il
teatro, l’Irlanda”) di circa cento pagine nella quale De Petris, dopo aver
preso le mosse dal teatro di Yeats, illustra elementi tematici, problematiche
linguistiche e tensioni politico-culturali che confluiscono nel teatro
irlandese contemporaneo (Field Day Theatre Company), senza mai omettere di
delineare il contesto storico. Nella seconda parte dell’introduzione (pp.
40-96), De Petris presenta la
traiettoria del teatro di Brian Friel, sempre con dovizia di notizie storiche e
biografiche che, soprattutto sul versante drammaturgico e letterario,
testimoniano dell’attento e scrupoloso lavoro di documentazione da parte della
candidata. Più recentemente, la candidata ha scritto diversi lavori:
l’interessante articolo “L’Irlanda e
La produzione presentata per la presente valutazione
comparativa delinea il quadro di una studiosa che, positivamente impegnata sul
versante della letteratura irlandese, non ha tuttavia prodotto lavori di piena
maturità da cui emergano una visione critica e un metodo ben definiti. Non sono
pochi i meriti culturali della candidata – fra i quali vanno ricordati i suoi
rapporti con le istituzioni irlandesi–, si avverte tuttavia la mancanza una
monografia di ampia portata che mostri la capacità di articolare un discorso
critico coerente e unitario su un autore, su una tematica o su un progetto
letterario-culturale di ampio respiro. Pur riconoscendo l’impegno e la
dedizione della candidata nell’ambito dell’irlandesistica, ai fini della
valutazione comparativa si esprime qualche riserva sulla linea di ricerca sin
qui seguita e pertanto anche sulla produzione scientifica di Carla De
Petris.
Giudizio
della Prof. MARIANGELA TEMPERA:
Laureata presso l’Università di Roma “
Si è
occupata quasi esclusivamente di letteratura e cultura irlandese del Novecento.
In questo settore ha curato con Maria Stella l’interessante volume Continente
Irlanda, ha tradotto, con un ottimo saggio introduttivo, il teatro di Brian
Friel (1996) e ha scritto saggi per riviste e volumi collettanei editi anche da
buone case editrici italiane e straniere. I suoi lavori hanno contribuito a
diffondere in Italia la conoscenza della letteratura irlandese sia presso il
pubblico generale che fra gli studiosi. Di particolare rilievo sono i suoi
lavori apparsi su Joyce Studies in Italy e il saggio “Heaney e Dante”
pubblicato nel volume collettaneo Critical Essays on Seamus Heaney (a
cura di Robert F. Garratt, 1995).
Manca
uno studio monografico che permetta di valutare la sua capacità di elaborare
pienamente il suo pensiero critico.
Giudizio
della Prof. ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:
Specialista di letteratura irlandese del Novecento,
la candidata Carla De Petris presenta
un’ampia produzione che attraversa
l’ambito di indagine in oggetto con curatele, saggi e traduzioni e alcuni
lavori intesi a promuovere la conoscenza
in Italia dell’Irlanda e della sua letteratura. Si segnala come contributo di
rilievo il suo studio su Brian Friel ( “Traduzioni”
e altri drammi), che include un
ampio saggio introduttivo che indaga le valenze di continuità del drammaturgo
rispetto ai grandi della letteratura irlandese
così come il suo self-portrait, il tentativo, cioè, di una definizione
di Irishness, divenuta nella contemporaneità più problematica ed ambigua. Il
volume, che prende il titolo da uno dei tre drammi tradotti, Translations,
di fatto molto amato ma anche molto contestato, si fa carico di una ampia
riflessione sui problemi della identità, ancora non risolti. In co-curatela è
presentato The Cracked Lookingglass. Contributions to the Study of Irish
Literature, con ampia introduzione che ripercorre l’immagine dello specchio
delle prime scene dello Ulysses poste in relazione con altri specchi
della letteratura (Caliban, Hamlet, Dorian Gray). Esso contiene traduzioni e
saggi di notevole interesse. Il volume
in co-curatela con Maria Stella dal titolo Continente Irlanda si avvale
di una introduzione a firma di entrambe le curatrici, di cui tuttavia
non sono indicate le parti a firma di ciascuna, ed un saggio sulle “Voci del
teatro contemporaneo” in cui si dà conto del brulicante ambiente teatrale
irlandese da Exiles in poi. Si segnalano inoltre i saggi che
mettono in relazione Seamus Heaney, Dante e Joyce, sullo sfondo della lettura
della saggistica beckettiana del 1929. I suoi studi costituiscono un
pregevole e sfaccettato insieme, a cui
manca tuttavia una compiuta produzione monografica, oltre che un ampliamento
verso altre aree di confronto.
Giudizio
della Prof. DANIELA GUARDAMAGNA:
La candidata presenta varie curatele, a sua firma o
a firma congiunta con altri, traduzioni e molti saggi; nessuna monografia.
Le curatele, attente e ricche, vengono a costituire
l’immagine di una studiosa consapevolissima del suo tema, la letteratura
irlandese, di cui è tra i maggiori esperti italiani.
Il testo Brian
Friel, “Traduzioni” e altri drammi (Roma: Bulzoni, 1996), presenta l’opera del drammaturgo contemporaneo
irlandese con una profonda attenzione al contesto, in una lunga introduzione
che effettua in realtà una breve storia del teatro irlandese dalle sue origini,
cioè dalla nascita dell’Abbey Theatre con Yeats e Lady Gregory, e dalla sua
rinascita, dopo il rogo del vecchio Abbey e la inaugurazione dello sperimentale
Peacock; si accenna al rapporto dialettico con Beckett, si analizzano gli
autori contemporanei, da Kilroy a Murphy, e infine ci si concentra sull’opera
di Friel, prima le opere maggiori (la più nota Philadelphia Here I Come) e poi quelle tradotte nel testo. Seguono
una cronologia, un’ampia bibliografia e la traduzione di The Faith Healer, Translations e Dancing at Lughnasa.
The Cracked
Lookingglass. Contributions to the Study of Irish Literature è a firma, oltre che della
candidata, di Jean M. Ellis D’Alessandro e Fiorenzo Fantaccini; si tratta di un
pregevole volume che contiene saggi e poesie, con traduzione in italiano di
poesie irlandesi e verso l’inglese di due poesie di Michelangelo, tradotte dal
poeta Derek Mahon; notevole il parterre
degli autori dei saggi, da Seamus Heaney a Keir Elam a Anthony Johnson a
Richard Allen Cave. La candidata contribuisce con una breve introduzione, un
saggio sulla poesia di Patrick Cavanagh, la traduzione (molto interessante) di
alcune poesie, e una nota su una lettera inedita di Sean O’Casey.
La terza curatela è il volume Continente Irlanda. Storia e scritture contemporanee (Roma: Carocci
2001), a firma della candidata e di Maria Stella, a cui De Petris contribuisce
con un’introduzione a quattro mani con l’altra curatrice (non ne è definita con
precisione la paternità), con la traduzione di alcune poesie e con il saggio
“Voci dal teatro contemporaneo”. Anche questo testo riunisce saggi di autori
importanti, da Agostino Lombardo a Giuseppe Serpillo a Romolo Runcini a Viola
Papetti a Francesca Romana Paci.
La candidata presenta poi molti saggi pubblicati in
Italia e all’estero, quasi tutti (tranne quello sull’autrice australiana nota
con lo pseudonimo George Egerton) su autori o temi irlandesi: su Seamus Heaney (“Heaney and Dante”, in Critical Essays on Seamus Heaney, New
York, G.K. Hall, e “Heaney’s Use of
Dante against Joyce”, Roma, Bulzoni 1998); su Heaney e Ciaran Carson (“Dante…
Joyce. Heaney… Carson: An Interview”, Bulzoni: Roma, 2006: la punteggiatura del
titolo è ovviamente modellata sull’esempio del saggio beckettiano Dante… Bruno. Vico.. Joyce); sulla poco conosciuta poetessa Eavan Boland
(Pescara 1998), sul rapporto con l’Italia di Sean O’Faolain (Torino 2000) e di
Lady Gregory (Irish University Review. A Journal of Irish Studies, 2004); su Desmond O’Grady (Hungarian
Journal of English and American Studies, 2004) e Jennifer Johnston (Verona
2005). Inoltre,
un’intervista, con traduzione di tre poesie, alla poetessa Eiléan Nì
Chuilleanaàin; un saggio che, sulla scia di
La nascita del Purgatorio di Le Goff (1981), indaga la leggenda irlandese
del Purgatorio di San Patrizio, dalla fabula alla sua rappresentazione negli
splendidi affreschi di Todi e di Orvieto; un saggio sul rapporto fra l’Irlanda
e la letteratura della Prima Guerra Mondiale (2004), e uno su Belfast come
crocevia dei rapporti conflittuali Irlanda-Inghilterra, attraverso l’opera di
Carson e di McLiam Wilson (Roma 2003).
La figura della candidata è quindi culturalmente
assai ricca e dotata di precisa identità culturale; l’assenza di una
monografia, tuttavia, rende impossibile giungere a una valutazione di piena
maturità scientifica.
Giudizio
del Prof. VITO CAVONE:
La prof. De Petris sottopone alla valutazione
comparativa varie curatele, traduzioni e saggi, ma nessuna monografia. Il
settore cui si dedica quasi esclusivamente è la letteratura irlandese di cui si
rivela un’assoluta esperta, come ben rivelano i volumi da lei curati: The Cracked Lookingglass (1999) e Continente Irlanda (2001). Tra questi
autori irlandesi che vanno da Lady Gregory a Seamus Heaney, spicca Brian Friel,
di cui traduce alcuni plays con una bella e corposa introduzione ("Traduzioni" e altri drammi,
1996).
Questa
scelta specialistica diventa un limite nella valutazione comparativa nel
settore disciplinare.
Giudizio
collegiale:
La candidata presenta una produzione scientifica che
si è sviluppata nell’arco di oltre trent’anni,
ponendo sempre in primo piano la letteratura e la cultura irlandese su
cui dimostra di avere ampie competenze non disgiunte da un attivo e
appassionato impegno in direzione di una diffusione e promozione degli studi
anglo-irlandesi in Italia. Le curatele, attente e ricche, vengono a costituire
l’immagine di una studiosa molto consapevole del suo tema. I suoi lavori fanno
di lei uno maggiori esperti italiani di letteratura e cultura anglo-irlandese.
Nel suo lungo e fruttuoso percorso Carla
De Petris ha affrontato diversi aspetti della letteratura irlandese, con
risultati che vanno da un ammirevole lavoro divulgativo (come, ad esempio, nel
caso delle voci enciclopediche, citate nel curriculum
vitae e non incluse fra le pubblicazioni da valutare) ad approfondimenti
critici di indubbio valore scientifico. Oltre alla curatela dei due volumi The
Cracked Lookingglass – Contributions to the Study of Irish Literature (1999)
e Continente Irlanda – Storia e scritture
contemporanee (con Maria Stella, 2001), va menzionata l’intervista (2007, Irish University Review) a Eiléan Ní
Chuilleanáin in cui si parla del Grand
Tour, del rapporto Irlanda/Italia. Impegnativo e importante il volume “Traduzioni” e altri drammi (1996) nel
quale sono tradotti con buoni risultati tre lavori teatrali di Brian Friel: “Faith Healer”, “Translations” e
“Dancing at Lughnasa”. Il volume si avvale anche di un’introduzione (“Friel, il
teatro, l’Irlanda”) di circa cento pagine nella quale De Petris, dopo aver
preso le mosse dal teatro di Yeats, illustra elementi tematici, problematiche
linguistiche e tensioni politico-culturali che confluiscono nel teatro
irlandese contemporaneo, senza mai omettere di delineare il contesto storico.
La candidata presenta poi molti saggi pubblicati in Italia e all’estero, quasi
tutti su autori o temi irlandesi: si
segnalano in particolare i lavori su Seamus Heaney (“Heaney and Dante”, in Critical Essays on Seamus Heaney, New
York, G.K. Hall, 1995, “Heaney’s Use of
Dante against Joyce”, 1998) e sulla poco conosciuta poetessa Eavan Boland
(1998).
La produzione presentata per
la presente valutazione comparativa delinea il quadro di una studiosa a cui
manca uno studio monografico che permetta di valutare la sua capacità di
elaborare pienamente il suo pensiero critico.
Candidata
GIULIANA FERRECCIO
Giudizi
individuali:
Giudizio
del Prof. FRANCESCO MARRONI:
La candidata Giuliana
Ferreccio presenta un profilo scientifico piuttosto discontinuo e con frequenti
incursioni nell’area degli studi comparati (Milton, Tasso, Cavalcanti, Alfieri,
ecc.), senza comunque pervenire ad esiti di grande peso critico-metodologico, a
parte alcune interessanti analisi intertestuali (Alfieri/Byron). La breve
monografia La passione dell’ironia.
Saggio su Jane Austen (1990) presenta alcune idee ben argomentate che
rinviano sia alla dialettica umorismo/malinconia, fondativa dell’innovazione
austeniana, sia a quello che la candidata definisce “luddismo austeniano”.
Tuttavia, Ferreccio non va al di là dell’analisi di due romanzi (Northanger Abbey e Emma) e a qualche riferimento alle altre opere, mentre il nuovo
genere romanzesco attivato dalla narrativa austeniana avrebbero meritato una
trattazione a più ampio raggio. Alcuni
anni dopo, a Jane Austen è dedicato un maturo articolo (2004) in cui viene
analizzato Mansfield Park che, in questo
caso, è letto, non senza linee di originalità, alla luce dei complessi e
contraddittori percorsi mentali della protagonista, Fanny Price. Argomentazioni
pressoché analoghe ritornano in un saggio più recente (“Autorità, autore e
personaggio in Mansfield Park”, 2006)
in cui ad essere preso in considerazione è ancora Mansfield Park con risultati tendenti più al divulgativo che a una
vera disambiguazione dei codici testuali.
Tra i lavori più recenti, merita particolare attenzione Paesaggi della coscienza. La formazione
poetica in William Wordsworth (2006), una monografia che, per quanto
ambiziosa e promettente nel progetto (si veda, in proposito, l’
“Introduzione”), manca di un coerente disegno che, dall’inizio alla fine, ne
delinei la traiettoria ermeneutica. Al contrario, la rielaborazione e
l’inserimento di saggi precedentemente pubblicati rendono problematica la
coerenza del capitolo imperniato sul
Prelude, che, sottratto a un’analisi testuale serrata, viene affidato
troppo spesso ai discorsi della tradizione critica (Bloom, McFarland, De Man,
Hartman, Wu ed altri). Vanno apprezzati per lucidità ermeneutica alcuni lavori
come il saggio “Fatti e finzione nei generi letterati” (1994), “Le metamorfosi
della caduta: Paradise Lost e
La candidata appare impegnata su molti versanti, fornita
di ottima preparazione, ma non presenta nessuna monografia che sia il risultato
di una riflessione continua e articolata nel tempo. Mancano lavori che, anche
sul piano dell’estensione, possano essere considerati un contributo originale e
maturo nell’ambito del raggruppamento scientifico-disciplinare L-LIN/10. In
attesa di prove più significative, e pur riconoscendo la ricchezza degli
interessi di ricerca, si ritiene di esprimere un giudizio non pienamente
positivo sulla produzione scientifica di Giuliana Ferreccio ai fini della
presente valutazione comparativa.
Giudizio
della Prof. MARIANGELA TEMPERA:
Laureata presso l’Università di Torino dopo avere
conseguito un MA presso l’università del Texas, GIULIANA FERRECCIO è Professore
Associato di Letteratura Inglese presso l’Università di Torino dal
Una parte dei suoi lavori si
colloca nell’ambito della Lettura Comparata (studi su Alfieri e Byron, Milton e
Tasso, ecc.). Nell’anglistica, si è occupata di Jane Austen a cui ha dedicato
una breve monografia, La passione dell’ironia (1990) che poco aggiunge
alla conoscenza dell’autrice e due saggi più interessanti, “Autorità, autore,
personaggio in Mansfield Park” (2006) e “Character and Characters: The
Problems of Fanny Price” (2004). I suoi lavori più originali sono dedicati a
Wordsworth. Due corposi saggi: “Iconoclastia romantica” (2005) e “The
Unimaginable Touch of Time” (2005), con buona collocazione editoriale, sono
stati rielaborati all’interno di Paesi della coscienza (2006), una ben
documentata monografia su The Prelude. A T.S. Eliot ha dedicato un
importante saggio all’interno del volume La
tradizione dei moderni e la musica (2007) da lei curato.
Giuliana
Ferreccio è una studiosa seria e produttiva che tuttavia non rivela una
completa autonomia critica.
Giudizio
della Prof. ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:
L’ampia produzione della prof. Ferreccio si articola
in più filoni coerentemente tenuti insieme da questioni di poetica, come è il
caso degli studi relativi ai romantici e al modernismo, e da interessanti
incursioni comparatistiche (con la
letteratura italiana) e intersemiotiche ( con la musica), oltre che in studi
sul romanzo di formazione. Argomentato e fine è il suo studio monografico Paesaggi
della coscienza. La formazione di William Wordsworth (2006) dedicato a The
Prelude e alle sue molteplici versioni, considerato anche dalla prospettiva
dialettica, propria del periodo, fra epica e lirica. Tale studio risulta
preparato da saggi quali “Iconoclastia romantica” e “The Unimaginable Touch of
Time” (2005). Il suo approdo al Modernismo avviene tramite l’approccio
intergenerico tra letteratura e musica con risultati interessanti, nella
curatela di La tradizione dei moderni e
la musica, corredata di introduzione e da un lungo saggio.
Nello studio su Northanger
Abbey ed Emma all’interno del volume La passione dell’ironia.
Saggio su Jane Austen (1990), il
focus si concentra sull’analisi delle strategie narrative e sugli spostamenti di genere, dal novel al
romance, rinvenibili nella trattazione. Dall’esame, la produzione della
candidata emerge come frutto di sensibilità letteraria solo parzialmente
compiuta.
Giudizio
della Prof. DANIELA GUARDAMAGNA:
La candidata è indubbiamente a suo agio nell’analisi
del periodo tra preromantico e romantico, e in quella dello sviluppo della
sensibilità sentimentale. Questo risulta evidente nel volumetto dedicato a Jane
Austen (La passione dell’ironia, Tirrenia
1990), dove si indagano le strategie narrative dell’autrice soprattutto nella
creazione delle protagoniste femminili di vari testi austeniani, nell’affiorare
della malinconia come cifra costante al di sotto dell’ironia che la dipinge. A
Jane Austen sono dedicati anche i saggi “Character and Characters: The Problems
of Fanny Price” e “Autorità, autore e personaggio in Mansfield Park”; al romanzo di formazione, in particolare a
Richardson, il lungo e interessante
scritto “Lo spettatore imparziale” (1985).
Di Wordsworth si occupa il
volume Paesaggi della coscienza
(Torino 2006), molto informato e chiaro nell’analisi delle varie versioni del Prelude e nell’interpretazione della
centralità del momento epifanico nella produzione del poeta; meno risolta
appare l’analisi dell’influenza nel periodo romantico del Tasso e della Gerusalemme, a cui sono dedicati due
capitoli.
Su Wordsworth la candidata ha prodotto anche tre
saggi, “Iconoclastia romantica”, “‘Shapes of Wilful Fancy’” e “‘The
Unimaginable Touch of Time’”, non interamente confluiti nel volume sopra
descritto.
Una successiva fase della
produzione di Giuliana Ferreccio riguarda la poesia di T.S. Eliot e il rapporto
poesia-musica. A questo sono dedicate le due curatele L’improvvisazione in musica e in letteratura (Torino 2007) e
Del 2007 e 2008 sono due saggi dedicati a Coetzee,
“Confessioni dal sottosuolo” e “J.M. Coetzee e la confessione”, che indagano il
rapporto di Coetzee con Dostoevskij, dalle pagine critiche al romanzo che vede
intertestualmente protagonista l’autore russo. Le altre incursioni nel
Novecento sono il saggio su Karen Blixen (1992) e quello sulla Partisan Review e le problematiche della
sinistra americana negli anni Venti (“Ideologia letteraria e sinistra
americana”, 1977).
Gli altri saggi presentati
dalla candidata sono dedicati al rapporto Milton-Tasso (“La metamorfosi della
caduta”, 1997, e “Satana Eikonoklastes”, 1999), a quello tra Alfieri e Byron
(2003) e ad alcune riflessioni sulle teorie narrative (“Fatti e finzioni nei
generi letterari”, 1994). Si segnala infine la lunga e informata voce sul
romanzo del secondo Ottocento (Meredith, Hardy e Stevenson), per la storia letteraria
Utet a cura di Franco Marenco.
I risultati della produzione
della candidata, spesso egregi ma altre volte non pienamente risolti, non
consentono di giungere a una valutazione di piena maturità scientifica.
Giudizio
del Prof. VITO CAVONE:
La prof. Ferreccio è autrice di due monografie: una
su Jane Austen (La passione dell’ironia)
che risale al 1990 e l’altra più recente sul Prelude di Wordsworth (Paesaggi
della coscienza). A questi autori sono dedicati anche altri saggi. Il capitolo IV della monografia su
Wordsworth (“W. e Tasso”) ed altri
contributi (v. “Alfieri e Byron”) rivelano una insistita vocazione
comparatistica. Allo stesso modo la curatela del volume L’improvvisazione in musica e in letteratura ed altri saggi dello stesso tipo mostrano un approccio interdisciplinare.
La pur
notevole e variegata produzione della candidata non testimonia una
completa coerenza di percorso.
Giudizio
collegiale:
La candidata Giuliana Ferreccio presenta un profilo
scientifico piuttosto discontinuo e con frequenti incursioni nell’area degli
studi comparati (Milton, Tasso, Cavalcanti, Alfieri, ecc.), senza comunque
pervenire ad esiti di grande peso critico-metodologico, a parte alcune
interessanti analisi intertestuali (Alfieri/Byron). La breve monografia La passione dell’ironia. Saggio su Jane
Austen (1990) presenta alcune idee ben argomentate che rinviano sia alla
dialettica umorismo/malinconia, fondativa dell’innovazione austeniana, sia a
quello che la candidata definisce “luddismo austeniano”. Tuttavia, Ferreccio
non va al di là dell’analisi di due romanzi (Northanger Abbey e Emma)
e di qualche riferimento alle altre opere, mentre il nuovo genere romanzesco
attivato dalla narrativa austeniana avrebbe meritato una trattazione a più
ampio raggio. Alcuni anni dopo, a Jane
Austen è dedicato un maturo articolo (2004) in cui viene analizzato Mansfield Park che, in questo caso, è
letto, non senza linee di originalità, alla luce dei complessi e contraddittori
percorsi mentali della protagonista, Fanny Price. Argomentazioni pressoché
analoghe ritornano in un saggio più recente (“Autorità, autore e personaggio in
Mansfield Park”, 2006) in cui ad
essere preso in considerazione è ancora Mansfield
Park, con risultati tendenti più al divulgativo che a una vera disambiguazione
dei codici testuali. Di Wordsworth si occupa il volume Paesaggi della coscienza (2006), molto informato e chiaro
nell’analisi delle varie versioni del Prelude
e nell’interpretazione della centralità del momento epifanico nella produzione
del poeta; meno risolta appare l’analisi dell’influenza nel periodo romantico
del Tasso e della Gerusalemme, a cui
sono dedicati due capitoli. Su Wordsworth la candidata ha prodotto anche tre
saggi, “Iconoclastia romantica”, “‘Shapes of Wilful Fancy’” e “‘The Unimaginable
Touch of Time’”. Vanno apprezzati per lucidità ermeneutica alcuni lavori come
il saggio “Fatti e finzione nei generi letterari” (1994), “Le metamorfosi della
caduta: Paradise Lost e
La pur notevole e variegata produzione della
candidata non testimonia una completa coerenza di percorso.
Candidata LIA
SIMONETTA GUERRA
Giudizi individuali:
Giudizio
del Prof. FRANCESCO MARRONI:
Muovendosi in aree ben
delineate, l’attività scientifica di Lia Simonetta Guerra privilegia, nella
fase iniziale, la ricerca sulla poesia con la pubblicazione di La polvere e il segno (1980),
un’antologia sui war poets che si
avvale di un’introduzione puntuale e ben documentata; la traduzione dei testi,
sempre scrupolosa e attenta, perviene a ottimi risultati, sia sul piano della
equivalenza semantica, sia su quello fonoprosodico. In una fase successiva, la
candidata prende in esame l’opera di Joyce con la pubblicazione del lavoro
monografico Interpreting Joyce’s
“Dubliners” (1992) in cui, con esiti molto interessanti, sperimenta diversi
approcci critici. Nonostante ad essere privilegiata sia la narratologia
(Genette, Bremond e altri), la lettura
risulta sempre di ampio respiro e in grado di cogliere l’ampiezza delle
problematiche epistemico-culturali poste dal primo Joyce. Una seconda
monografia – anche in questo caso molto ben scritta – appare nel 2007 con il
titolo Fogli triestini. Giacomo Joyce.
Si tratta della storia del manoscritto noto come Giacomo Joyce, che la candidata analizza prendendo le mosse dagli
aspetti paratestuali fino a pervenire all’“analisi delle sequenze per unità di
pagina”. Nel complesso, il percorso
analitico appare raffinato, sempre molto minuzioso, bibliograficamente denso di
rimandi e maturo nel metodo.
Un’ulteriore area di studio è costituita dall’opera di
Mary Wollstonecraft e Mary Shelley. In particolare, si segnala il volumetto Il
mito nell’opera di Mary Shelley (1995), di cui è apprezzabile il terzo
capitolo (“I drammi mitologici di Mary Shelley”), soprattutto per il nesso
istituito con le fonti classiche e per l’accento posto sulla polemica contro la
società coeva. Nello stesso ambito il lavoro sulla History of a Six Weeks’ Tour di Mary Shelley, di cui la candidata,
oltre ad avere scritto una bella introduzione, ha curato la traduzione (testo a
fronte), con risultati molto buoni. Non
meno valido e maturo appare il saggio sullo stesso argomento (2001), che
approfondisce le modalità con cui Mary Shelley si appropria dell’idea di storia
come progresso, riuscendo a declinare sempre in positivo i dati
storico-educativi derivati dalle esperienze di viaggio. Per quanto riguarda
Mary Wollstonecraft, il denso saggio
“Scandinavia 1795. Rapporto dai confini dell’Europa” (1995) può essere considerato un contributo agli
studi sulla scrittrice. Incentrato su “un testo costruito a tavolino”, il
lavoro sulle Letters Written during a
Short Residence in Sweden, Norway, and Denmark mette in evidenza come i
discorsi contrastanti dell’io (sentimentalismo)
e dell’altro (antropologia) trovino una sistemazione nella scrittura
modellizzante di Mary Wollstonecraft. Va segnalato infine l’articolo
“Unexpected Symmetries” (2005), che a partire dalle Letters citate sopra, instaura un fruttuoso parallelismo con il Journey to the Western Isles of Scotland di
Samuel Johnson.
La candidata presenta una produzione scientifica che,
considerato il suo percorso accademico, risulta piuttosto ridotta. Tuttavia, i
suoi lavori, maturi nel metodo e nell’argomentazione, configurano una studiosa
seria, dotata di sensibilità critica nonché di una preparazione molto
approfondita sui temi della sua ricerca.
Giudizio
della Prof. MARIANGELA TEMPERA:
Laureata presso l’Università di Pavia nel 1973, LIA
GUERRA è Professore Associato di Letteratura Inglese presso l’Università di
Pavia dal 1998. E’ membro del consiglio direttivo di Il Confronto letterario
e vicedirettore del “Centro di Ricerca sulla Tradizione Manoscritta di Autori
Moderni e Contemporanei” dell’Università di Pavia. Ha partecipato a progetti di
ricerca a livello locale e nazionale (COFIN). Ha svolto un’intensa attività
didattica anche a livello di dottorato e ha ricoperto numerosi incarichi
istituzionali.
Ha esordito con un’antologia
di poeti inglesi della I Guerra Mondiale (La polvere e il segno, 1980)
preceduta da un’illuminante introduzione. Si è occupata di letteratura di
viaggio con risultati particolarmente originali in “Mary Shelley’s Travel Books
and the Legacy of the Idea of Progress” (2001) e in “Wandering Women” (2003-4),
entrambi pubblicati in buone sedi editoriali. A Mary Shelley ha dedicato un
interessante lavoro monografico: Il mito nell’opera di Mary Shelley. A
James Joyce ha dedicato due lavori monografici. In Interpreting James
Joyce’s Dubliners (1980) ha dimostrato la sua capacità di applicare in modo
personale le metodologie critiche di Greimas, Bremond e Genette. Il suo
principale contributo agli studi joyciani è rappresentato da Fogli
triestini: Giacomo Joyce (2007), un lavoro metodologicamente ineccepibile
che getta nuova luce su questo testo.
La candidata è una studiosa
originale, produttiva e pienamente matura.
Giudizio
della Prof. ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:
La candidata Lia Simonetta Guerra, Professore
Associato di Lingua e Letteratura Inglese presso
Dalla sua più ampia produzione,
Giudizio
della Prof. DANIELA GUARDAMAGNA:
Lia Guerra presenta per la valutazione comparativa
tre concise e dense monografie, due edizioni con introduzione e note, e vari articoli,
saggi e postfazioni.
L’opera della candidata si distingue per la sicura
eleganza dell’approccio, l’originalità degli assunti, la precisione della
scrittura e del riferimento bibliografico; impeccabili sono inoltre gli
apparati critici.
Il testo su Mary Shelley (Il mito nell’opera di Mary Shelley, Pavia 1995) analizza con
precisione la presenza del mito nell’opera dell’autrice, indagando da un lato i
complessi intrecci scrittura-biografia, dall’altro le rielaborazioni del mito
greco e latino, da Apuleio a Ovidio. Guerra rintraccia in Shelley una sorta di
revisionismo protofemminista da un lato e dall’altro la presenza di una
profonda riflessione sulla perdita del rapporto madre-figlia, quindi nuovamente
un ritorno alla biografia, soprattutto nella riscrittura del mito di Proserpina
nel dramma Proserpine.
Il volume Interpreting
James Joyce’s Dubliners (Udine 1992), nato come raccolta di saggi che
vengono però rivisitati per la nuova pubblicazione e che rispondono con
evidenza a un’unica cifra interpretativa, indaga il testo problematizzandone la
natura (racconti che, per l’unità tematica e la circolarità della struttura su
cui sono organizzati, necessitano di strumenti particolari per l’indagine) e
appunto gli strumenti da impiegare: un’analisi narratologica che usi insieme le
griglie interpretative adatte alla short
story e quelle della narrativa di maggior respiro, quindi, per quanto
riguarda gli aspetti teorici, da Bonheim a Genette, Bremond, Segre, Leech,
Greimas, Kristeva.
Fogli
triestini. Giacomo Joyce, Pacini 2007 è un raffinato volumetto che analizza approfonditamente
la vicenda editoriale del testo postumo, ‘offerto’ alla pubblicazione da Ellman
nel 1968, le informazioni paratestuali, la ricezione critica, e – dopo aver
riferito i risultati di critici e biografi nel riconoscimento della triestina
musa ispiratrice – intraprende la complessa e raffinata decrittazione del testo
joyciano, indagandolo in dettaglio e illuminandone i possibili significati.
La curatela La
polvere e il segno (Milano 1980) è un volume dedicato ai poeti inglesi
della prima guerra mondiale, che – con una lunga e accurata introduzione e
l’insolitamente efficace traduzione di una cinquantina di poesie, da Hardy a
Brooke a Edward Thomas a Sassoon a Owen a Rosenberg – ricostruisce un panorama
estremamente esaustivo della poesia di quegli anni.
Ottima anche la traduzione del volume Mary Wollstonecraft Shelley e Percy B.
Shelley. Storia di un viaggio di sei settimane (Firenze 1999), in cui la
candidata introduce e traduce la relazione del viaggio “romantico” degli
Shelley e della sorellastra di Mary, Claire Clairmont, nei “luoghi deputati
della libertà e del sublime naturale” (p. 7).
Molti degli articoli presentati (alcuni dei quali
pubblicati all’estero) si incardinano sui nuclei di interesse delle monografie
o si allargano a temi ad esse adiacenti. A Mary Shelley sono dedicati vari
saggi (“Mary Shelley’s travel books and the legacy of the idea of progress”,
Liguori 2001; “Gli Shelley a Roma”,
1997-99; “Winzy nello studiolo dell’alchimista”, Firenze,
A temi romantici sono dedicati anche il saggio su
Helen Maria Wiliams (Amsterdam/New York, Rodopi 2007) e quello sulle “Wandering
Women” (
Inoltre, sono presentati un saggio su Barbara Pym e
l’ottima postfazione al testo di Alvarez su Beckett (Mondadori 1992), dove in poche pagine Guerra
riesce nel difficile compito di produrre un quadro dell’opera beckettiana che è
insieme esaustivo e ricco di interpretazioni non ovvie.
La candidata non sottopone a valutazione i saggi su
Eliot (1982), su Rosenberg (1986 e 1988), l’introduzione e traduzione dei testi
poetici di Moniza Alvi, le traduzioni
letterarie (da Carroll a Foscolo a Shelley), illustrati nel curriculum, né le
varie recensioni pubblicate prevalentemente su Il Confronto letterario.
La ricca, articolata e raffinata produzione della
candidata la conferma come studiosa di valore, giunta alla piena maturità
critica e scientifica.
Giudizio
del Prof. VITO CAVONE:
La prof. Guerra è autrice di tre brevi monografie (Interpreting James Joyce’s “Dubliners”,
1992; Il mito nell’opera di Mary Shelley,
1995; Fogli triestini, Giacomo Joyce,
2007), che individuano i campi di una
ricerca condotta con puntualità, anche se non copiosa.
Ha tradotto poeti inglesi della prima guerra
mondiale (La polvere e il segno,
1980) e
Su Mary Shelley e la letteratura femminile (a parte
La
produzione della candidata non mostra uno sviluppo omogeneo e costante.
Giudizio
collegiale:
Muovendosi in aree ben delineate, l’attività
scientifica di Lia Simonetta Guerra privilegia, nella fase iniziale, la ricerca
sulla poesia con la pubblicazione di La
polvere e il segno (1980), un’antologia sui war poets che si avvale di un’introduzione puntuale e ben
documentata; la traduzione dei testi, sempre elegante, scrupolosa e attenta,
perviene a ottimi risultati, sia sul piano della equivalenza semantica, sia su
quello fonoprosodico. Il volume Interpreting
James Joyce’s Dubliners (1992), nato come raccolta di saggi che vengono
però rivisitati per la nuova pubblicazione e che rispondono con evidenza a
un’unica cifra interpretativa, indaga il testo problematizzandone la natura
(racconti che, per l’unità tematica e la circolarità della struttura su cui
sono organizzati, necessitano di strumenti particolari per l’indagine) e
appunto gli strumenti da impiegare: un’analisi narratologica che usi insieme le
griglie interpretative adatte alla short
story e quelle della narrativa di maggior respiro – quindi, per quanto riguarda gli aspetti
teorici, da Bonheim a Genette, Bremond, Segre, Leech, Greimas, Kristeva.
Un’altra monografia – anche in questo caso elegante e ben scritta – appare nel
2007 con il titolo Fogli triestini.
Giacomo Joyce. Si tratta della storia del manoscritto noto come Giacomo Joyce, pubblicato postumo a cura
di Richard Ellmann, che la candidata analizza prendendo le mosse dagli aspetti
paratestuali fino a pervenire all’“analisi delle sequenze per unità di pagina”.
L’esito è un procedere raffinato e colto, attento alla configurazione grafica e
alla sua semantizzazione, nel pieno rispetto della frammentarietà/pluralità del
testo, bibliograficamente denso di rimandi e maturo nel metodo. Lia Guerra si è
occupata di letteratura di viaggio con risultati particolarmente originali in
“Mary Shelley’s Travel Books and the Legacy of the Idea of Progress” (2001) e
in “Wandering Women” (2003-4), entrambi pubblicati in buone sedi editoriali. A
Mary Shelley ha dedicato un interessante lavoro monografico: Il mito
nell’opera di Mary Shelley (1995), in cui si analizza con precisione la
presenza del mito nell’opera dell’autrice, indagando da un lato i complessi
intrecci scrittura-biografia, dall’altro le rielaborazioni del mito greco e
latino, da Apuleio a Ovidio; inoltre, la curatela del “travelogue” scritto a
quattro mani dagli Shelley comprende un’introduzione e un preciso apparato di
note, oltre a un’elegante traduzione. Si segnalano infine i lunghi e
approfonditi saggi “This nameless mode of naming the unnamable”, sulle versioni
di Frankenstein a teatro (Roma,
Bulzoni, 2005, pp. 179-213), e quello sul “Travelogue” di Mary Wollstonecraft, “Scandinavia
L’articolata e raffinata
produzione della candidata la conferma come studiosa di valore, giunta alla
piena maturità critica e scientifica.
Candidata
NANCY BETH ISENBERG
Giudizi individuali:
Giudizio
del Prof. FRANCESCO MARRONI:
Caratterizzata da un ben
definito percorso di ricerca, la produzione scientifica di Nancy Beth Isenberg
presenta una linea di sviluppo che
privilegia, con risultati di valore, Shakespeare e la cultura rinascimentale,
approfondita anche tenendo conto del rapporto fra la letteratura e le altre
arti (musica, danza, ecc.). Dopo l’esordio con alcuni contributi che non
rientrano nel raggruppamento scientifico-disciplinare della presente
valutazione comparativa (Niccolò Michelozzi, 1982, 1985), che comunque
testimoniano la sua formazione di italianista, a partire dagli anni novanta la
candidata comincia a pubblicare una serie di interventi sull’opera
shakespeariana che, per quanto non abbiano condotto alla scrittura di una
monografia, testimoniano del suo vivo interesse per il teatro elisabettiano
sulla scorta di un quadro metodologico in cui la tendenza alla divulgazione,
talora, ha la meglio sull’approfondimento analitico. I saggi apparsi nei volumi
pubblicati dal Teatro dell’Opera di Roma risultano interessanti nella loro
indagine del passaggio dal testo al balletto. In particolare, si distingue il
saggio “Romeo e Giulietta di William
Shakespeare e l’arte della danza” (1995) in cui si presenta e approfondisce la
coreografia di John Cranko su musica di Prokof’ev; lo stesso saggio,
sostanzialmente rivisitato e adattato a un lettore non italiano, con
riferimenti contestuali alla cultura popolare italiana degli anni cinquanta
(“Volare” di Domenico Modugno, La dolce
vita, ecc.), appare in inglese nel volume Shifting the Scene: Shakespeare in European Culture (2004), a cura
di Balz Engler e Ladina Bezzola. Sulla stessa linea si muovono i volumi
dedicati alla Bisbetica domata (1997,
rivisitato in inglese, 2008) e al romanzo woolfiano Orlando (1997). Il saggio su Orlando ispira il saggio “Woolf’s Orlando and the Staging of Ballet
Narrative” apparso due anni dopo su Textus,
la rivista ufficiale dell’Associazione Italiana di Anglistica (1999), a
testimonianza dell’interesse della candidata per lo studio del passaggio dal
testo letterario alla trasposizione coreografica e musicale. In questo ambito
si muove anche il breve articolo “L’esigentissimo regista Giuseppe Verdi”
(1995) che presenta una “rassegna epistolare sulla messa in scena di Macbeth” (pp. 81-90). Sul rapporto fra
testo letterario e teatro in musica si segnalano anche i saggi su Shakespeare
(2005, 2007) e un articolo molto ben scritto su Rime of the Ancient Mariner (2007). Recentemente, anche organizzato
su una linea storico-culturale, ha pubblicato il contributo “Beyond the
Black/White Paradigm: Casting Othello and Desdemona on the Ballet Stage”,
pubblicato nel volume collettaneo Postcolonial
Shakespeare: studi in onore di Viola Papetti (2009). Dell’ampia produzioni
di saggi e articoli brevi di Isenberg, meritano una menzione particolare i suoi
originali lavori su Giustiniana Wynne, contessa Rosenberg Orsini, che da anni
costituisce motivo di riflessione per la sua ricerca. Fra le pubblicazioni sul
tema, si apprezza la ben introdotta e documentata curatela del volume Caro Memmo, mon cher frère. Seduzioni
epistolari di una giovane angloveneziana in viaggio per l’Europa nel tempo di
Casanova (2008 ma a stampa nel 2010), che, pur trattandosi di un carteggio,
mette in evidenza un’indiscussa preparazione sul tema nonché una dettagliata
conoscenza dei contesti epistemici.
Molto spesso presente con relazioni nei convegni
dell’A.I.A. (1980, 1985, 1989, 2001, 2007), la candidata dimostra una presenza
molto attiva nella comunità scientifica, impegnandosi anche sul piano
istituzionale. Alla quantità di pubblicazioni brevi (saggi, articoli e una
recensione) non fa riscontro una monografia che, sul piano del respiro
scientifico-metodologico, dimostri la piena maturità della candidata. La
preparazione e l’ampiezza delle conoscenze, la passione e la capacità di
muoversi con competenza sui diversi livelli della produzione del testo, sono i
positivi presupposti per una prova più incisiva e significativa sui temi che
costituiscono l’area privilegiata di Nancy Beth Isenberg.
Giudizio
della Prof. MARIANGELA TEMPERA:
Laureata presso l’Università di Firenze nel 1973,
dopo aver conseguito un MA a Middlebury College, NANCY ISENBERG è Professore
Associato di Letteratura Inglese presso l’Università di Roma 3 dal
Si è occupata principalmente
di Shakespeare, con una serie di saggi nella collana “Le forme del teatro” (di
particolare interesse quello su “Giulietta, il boy actor e l’identità di
genere” nel volume di cui è stata curatrice con Viola Papetti nel 2003). Si è
poi dedicata allo studio dei balletti tratti dalle opere di Shakespeare con una
serie di saggi che, pur collocandosi nell’ambito dei “performance studies”
piuttosto che della Letteratura inglese, non mancano di acute osservazioni sul
testo di partenza (si veda in particolare “Accommodating Shakespeare to Ballet:
John Cranko”, 2004) e che hanno trovato
buone collocazioni editoriali internazionali. Un altro filone di ricerca è incentrato
sulla vita e sulle lettere di Giustiniana Wynne, un personaggio che
La
candidata è una ricercatrice seria e attiva che deve tuttavia misurarsi con la
monografia per dare prova di avere raggiunto la piena maturità di studiosa.
Giudizio
della Prof. ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:
La produzione scientifica della candidata si
sviluppa su alcune direttrici. La prima, di ambito shakespeariano, affronta
alcuni drammi di Shakespeare, in particolare, Othello, Romeo and
Juliet, The Taming of the Shrew in maniera coerente e compatta
tramite la strumentazione offerta dai performance studies e dai gender e
post-colonial studies. A tale ambito la candidata riserva vari interventi, di
caratura e genere diversi (saggi, articoli, presentazione di spettacoli e così
via), dedicati alla transcodifica del testo drammatico nell’arte del balletto.
Nel saggio del 2009 dal titolo “Beyond the black/white paradigm: casting
Othello and Desdemona on the ballet stage”, ella si interroga sulle possibilità
di relazione fra un testo già ampiamente letto all’interno dei post-colonial
studies, con l’arte elitaria del balletto, presentando come case study,
la resa dell’Otello ad opera del coreografo Lar Lubovitch. Del 2004 è il
saggio “Accomodating Shakespeare to ballet: John Cranko’s Romeo and Juliet
(Venice, 1950)”, Qui la candidata indaga efficacemente la possibilità che la
fonte narrativa e poi drammatica ha di coniugarsi con le convenzioni di quella
arte e pone enfasi sulla corrispondenza del ruolo drammatico con il ruolo del
ballet performer. Dello stesso coreografo e della sua resa di The Taming of
the Shrew tratta il saggio dal titolo “Feminist movement and the balance of
power in John Cranko’s Ballet The Taming of the Shrew” (Stuttgart,
1969), in cui viene posta in discussione le possibilità di significazione della
forma di balletto per un testo inteso a veicolare le rivendicazioni della
”second wave” del movimento femminista, per opportunamente chiudere sulla
considerazione di una sostanziale affinità fra il ‘movimento’ e il ruolo di
Kate, di cui il balletto più incisivamente definisce per contrasto l’energia
trasgressiva. Sullo stesso solco del possibile contrasto fra performance genre,
appartenente alla cultura alta e nobile, e figure che con difficoltà si
rapportano a tale canone, è lo studio sul Dracula di Stroke, figura
liminale e transgenerica e appartenente a più contesti socio-culturali.
L’interesse per l’identificazione ‘generica’ si manifesta coerentemente in
altro nucleo di saggi quali “Giulietta, il boy
actor e l’identità di genere” contenuto in Posa eroica di Ofelia,
co-curatela della Prof.ssa Isenberg, in cui ella si interroga sulla complessità
del personaggio di Giulietta e della frizione fra il suo profilo e il boy actor che lo interpreta. A Romeo
and Juliet sono anche dedicati uno studio considerato dalla prospettiva
linguistica dei servi dei Capuleti. Il saggio “Encomio e vituperio: un secolo e
mezzo di scritti inglesi sulla donna (1484-1640)” è da segnalare come maturo e
ampio studio sulla evoluzione della “discussione sulla donna” in un arco
temporale nevralgico come passaggio verso la modernità, rilevata tramite
l’identificazione di categorie e di isotopie poi rinvenibili nella puntuale trascrizione
di una bibliografia ragionata dell’epoca presentata in coda al saggio.
Altro ambito di indagine è costituito
dall’interessante nucleo di pubblicazioni relative allo scambio epistolare fra
la giovane Giustiniana Wynne e Andrea Memmo. Lo spaccato di una società in
rapida evoluzione di costumi, culturale oltre che socio-politico, è il maggiore
pregio della pubblicazione “Mon cher frère, Eros mascherato nell’epistolario di
Giustiniana Wynne e Andrea Memmo (1758-1760)” , e di “Without swapping her skirt
for breeches. The hypochondria of Giustiniana Wynne, Anglo-venetian woman of
letter” che affronta fra l’altro la prospettiva pre-disciplinare tipica degli
studi sul Settecento nella distinzione fra ‘hypochondria‘ e ‘hysteria’,
ampiamente utilizzata dai gender studies. Tali problematiche ritornano nella
corposa trascrizione con materiale paratestuale ampio dell’inedito epistolario
fra i due amanti. Nel complesso, l’interessante produzione della candidata
registra la mancanza di uno studio monografico che possa compiutamente
completare il suo profilo.
Giudizio
della Prof. DANIELA GUARDAMAGNA:
La candidata presenta alcune curatele, a sua firma o
a firma congiunta con altri, e vari saggi; nessuna monografia.
La prima curatela, La posa eroica di Ofelia (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,
2003), con Viola Papetti, è dedicata al personaggio femminile nel teatro
elisabettiano, e ad essa Isenberg contribuisce con il saggio “Giulietta, il boy-actor e l’identità di genere”, in
cui si elaborano convincenti ipotesi sul rapporto fra identità attoriale e
scrittura shakespeariana.
In corso di stampa è la curatela (a firma Del Sapio,
Isenberg e Pennacchia) Shakespeare and
Rome: Questioning bodies, geographies, cosmographies, a cui la candidata
partecipa con due saggi; in corso di stampa anche il saggio “Shakespeare’s Rome
in Rome’s Wooden ‘O’, nel volume a cura di Maria Del Sapio Shakespeare and Rome.
Identity, Otherness and Empire.
Un fulcro di interesse della candidata è nella
figura della “giovane
angloveneziana” Giustiniana Wynne, sostanzialmente dimenticata prima della sua
riscoperta, che la presenta all’attenzione del pubblico italiano e inglese:
oggetto di studio è un ricco carteggio che viene variamente analizzato, in
diversi saggi pubblicati in Italia e all’estero (“Seduzioni epistolari nell’età
dei lumi”, Quaderno del Dipartimento di
Letterature comparate, Roma: Carocci 2006, e “Without Swapping her Shirt
for Breeches”, Cambridge, Cambridge Scholars Press, 2008) e soprattutto nel
volume Caro Memmo, mon cher frère.
Seduzioni epistolari di una giovane angloveneziana in viaggio per l’Europa nel
tempo di Casanova, testo in cui il carteggio è accompagnato da un pregevole
apparato di note e strumenti paratestuali.
Il volume è edito nel 2010, ma la candidata presenta lettera dell’editore
comprovante l’accettazione del dattiloscritto nei termini, e il rinvio della
pubblicazione per ragioni esterne.
La candidata presenta inoltre vari saggi su opere
shakespeariane, in particolare ancora sul Romeo
and Juliet (“Provocazione erotica in Romeo
and Juliet”, Quaderno del
Dipartimento di Letterature Comparate di
Roma Tre, 2005; “L’eccellentissima commedia lacrimevole di Giulietta e
Romeo e la promiscuità dei generi”, in Le
forme del teatro, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura 1997), su altri
testi elisabettiani (“The Commonplaces of a Renaissance Satire: Swetnam’s Araignment of Women”, in Le forme del comico, Dell’Orso 1990);
“La femme au temps de Shakespeare”, in Cahiers
Elisabethains, 1989, e altri saggi sul periodo. Da segnalare il lungo e
informato saggio “Encomio e vituperio: un secolo e mezzo di scritti inglesi
sulla donna, 1484-
Dedicate al rapporto fra testo letterario e balletto
sono alcune presentazioni di testi shakespeariani nella loro realizzazione
musicale, opera o balletto, in particolare quelle su La bisbetica domata (1997), sul Romeo
and Juliet (1995) e sul Macbeth;
di argomento rilevante in ambito anglistico sono anche l’analoga presentazione
dedicata all’Orlando woolfiano nella
realizzazione di Robert North, a cui Isenberg dedica anche un saggio pubblicato
su Textus (1999), il saggio sulla
realizzazione ballettistica dell’Othello
(“Beyond the Black and White Paradigm: The casting of Othello and Desdemona on
the ballet stage”, in corso di stampa), e la realizzazione musicale del Dracula di Bram Stoker descritta negli
Atti del XX Convegno AIA (2001). Al Taming
of the Shrew nella realizzazione di John Cranko è dedicato anche un saggio
pubblicato nel volume Shakespeare and
European Politics (Newark, University of Delaware Press 2008).
Da segnalare infine il saggio su Coleridge
“Repurposing Rime of the Ancient Mariner
in the Postmodern Age” (in Peter Lang 2007), il saggio sulle strategie
retoriche della lettura (Atti del XII Convegno AIA) e vari saggi di riflessione
su tematiche teoriche linguistico-letterarie.
La ricca e diversificata
produzione della candidata non comprende purtroppo una monografia, essenziale
per comprovare la raggiunta maturità critica e scientifica.
Giudizio
del Prof. VITO CAVONE:
La
prof. Isenberg si occupa di Shakespeare e
L’altro settore in cui si
situa un gruppo (una decina) di saggi è quello che si occupa del rapporto tra
testo letterario e teatro in musica (balletto), in una gamma che va dalla
recensione alla presentazione alla introduzione dello spettacolo.
Un altro piccolo gruppo (tre
saggi) propone esperimenti in ciò che l’autrice chiama “intermedial criticism”.
A parte si pongono i lavori
sul carteggio della giovane anglo-italiana Giustiniana Wynne con Andrea Memmo,
tra cui il volume di curatela Caro Memmo.
(ecc.).
Manca una monografia che
permetta una più completa valutazione della candidata.
Giudizio
collegiale:
Caratterizzata da un ben definito percorso di
ricerca, la produzione scientifica di Nancy Beth Isenberg presenta una linea di
sviluppo che privilegia, con buoni risultati, Shakespeare e la cultura
rinascimentale, approfondita anche tenendo conto del rapporto fra la
letteratura e le altre arti (musica, danza, ecc.). Dopo l’esordio con alcuni
contributi che non rientrano nel raggruppamento scientifico-disciplinare della
presente valutazione comparativa (Niccolò Michelozzi, 1982, 1985), a partire
dagli anni novanta la candidata comincia a produrre una serie di interventi
pubblicati in Italia e all’estero che, per quanto non abbiano condotto alla
scrittura di una monografia, testimoniano del suo vivo interesse per il teatro
elisabettiano. I saggi apparsi nei volumi pubblicati dal Teatro dell’Opera di
Roma risultano interessanti nella loro indagine del passaggio dal testo al balletto.
In particolare, si distingue il saggio “Romeo
e Giulietta di William Shakespeare e l’arte della danza” (1995) in cui si
presenta e approfondisce la coreografia di John Cranko su musica di Prokof’ev;
lo stesso saggio rivisitato appare in inglese nel volume Shifting the Scene: Shakespeare in European Culture (2004), a cura
di Balz Engler e Ladina Bezzola. L’interesse sull’identificazione di genere si
manifesta coerentemente nel nucleo di saggi quali “Giulietta, il boy actor
e l’identità di genere”, contenuto in La
posa eroica di Ofelia (2003), curatela della candidata con Viola Papetti,
in cui Isenberg si interroga sulla complessità del personaggio di Giulietta e
sulla frizione tra il suo profilo e il boy-actor
che lo interpreta. Sempre connessi con l’indagine sulle figure femminili sono
il lungo e informato saggio “Encomio e vituperio: un secolo e mezzo di scritti
inglesi sulla donna, 1484-
La candidata è una studiosa
seria e attiva che deve tuttavia misurarsi con la monografia per dare prova di
avere raggiunto la piena maturità.
Candidata
CARMELA MARIA LAUDANDO
Giudizi
individuali:
Giudizio
del Prof. FRANCESCO MARRONI:
Nella monografia Parody, Paratext, Palimpsest. A Study of
Intertextual Strategies in the Writings of Laurence Sterne (1995), Carmela
Maria Laudando rivela ottima
preparazione e insieme solidità metodologica nell’analisi dei processi testuali
e paratestuali. Dal punto di vista dell’intertestualità, la candidata mostra,
inoltre, di conoscere molto bene i meccanismi che presiedono alla scrittura
sterniana di cui analizza in modo accurato gli aspetti parodici e le
implicazioni semantico-strutturali propri dell’ossessione incipitaria. Prima
dello studio monografico su Sterne, vanno segnalati alcuni contributi che, in
parte, possono essere considerati di preparazione e verifica di una serie di
ipotesi intorno all’opera sterniana. Di particolare interesse gli articoli
“L’avventura eccentrica di Yorick nel Tristram
Shandy” (1989) e “Giochi dialogici del Tristram
Shandy” (1990), nei quali, pur con qualche ingenuità metodologica, già
appare evidente l’intelligenza critica e l’attenzione per gli elementi
narratologici del testo. A dimostrazione della coerenza dell’itinerario di
ricerca, va ricordata l’edizione italiana di The Analysis of Beauty di William Hogarth (2001) che Laudando ha
curato in modo competente, approntando una “Appendice biobibliografica” nonché
un apparato di note sempre molto precise e puntuali. Merita anche una menzione l’edizione italiana
di A Modest Proposal di Swift,
apparsa nel 2007, che si avvale di un’introduzione ricca di stimolanti
osservazioni.
La candidata ha scritto un volumetto, Le soglie della scrittura (1999), che,
articolato in due parti, si occupa di Virginia Woolf (“La scrittura ‘anfibia’
di Between the Acts”) e di Toni
Morrison (“La scrittura poliritmica di Jazz”)
senza raggiungere risultati critici soddisfacenti. Più convincenti sembrano i
lavori in cui all’esplorazione della corporeità fa riscontro l’approfondimento
del grottesco e del mostruoso. Si vedano i saggi “Luoghi del difforme nel
Medioevo” (2002), l’introduzione all’antologia di racconti Le tracce del mostro nella tradizione britannica tardomedievale
(2002) e “ ‘Unsettled Islands’ and ‘Delicate Grotesque’” (2007). Oltre ad
alcuni interessanti lavori sulla drammaturgia shakespeariana (Hamlet e Coriolanus), la candidata presenta anche un saggio dedicato al
Dickens di The Mystery of Edwin Drood,
che, per quanto ovvio nel suo sviluppo e nella sua conclusione, conferma
l’ampiezza dei suoi interessi.
Seria, rigorosa e impegnata, la candidata, dopo la
monografia su Sterne del
Giudizio
della Prof. MARIANGELA TEMPERA:
Laureata presso l’Istituto Universitario Orientale
di Napoli nel 1989, CARMELA MARIA LAUDANDO ha conseguito il PhD presso
l’Università di Manchester ed è Professore Associato di Letteratura Inglese
presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli dal
Ha pubblicato nel 1995 la
sua tesi di dottorato su Sterne (Parody,Paratext, Palimpsest), un lavoro
interessante e ben documentato che rappresenta a tutt’oggi il suo più completo
contributo all’anglistica e che ha costituito la base per una serie di saggi
successivi su Hogarth, Sterne e Swift. Il resto della sua produzione abbraccia
tutto l’arco della letteratura inglese dal Medioevo, con diversi studi sul
mostruoso), al Rinascimento (con, tra gli altri, un interessante saggio su
“Storia e memoria in Coriolanus”), dall’Ottocento (“Sulle tracce
surreali di Londra in Edwin Drood”), al Novecento (due saggi su V. Woolf
e T. Morrison pubblicati come volumetto: Le soglie della scrittura,
1999), con un’incursione nel Postcoloniale: “ ‘I luoghi della cultura’: il
modello postcoloniale di Homi Bhabha”). Inevitabilmente, la varietà di
interessi va talvolta a scapito dell’approfondimento degli autori (scelti fra i
maggiori di ogni secolo) a cui la candidata ha dedicato la sua attenzione.
I lavori di Carmela Maria
Laudando attestano una buona padronanza degli strumenti critici da parte di una
studiosa che non ha ancora dato piena conferma delle qualità dimostrate nella
sua prima monografia.
Giudizio
della Prof. ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:
La candidata Carmela Maria Laudando è Professore
Associato di Letteratura Inglese presso
Si segnala inoltre la traduzione e cura di L’analisi
della Bellezza di William Hogarth, lavoro accurato e denso di cui dà testimonianza il voluminoso
apparato di note che contribuiscono a immettere il testo di Hogarth all’interno
di una strategia che indaga, insieme alle modalità di rappresentazione della
Londra del tempo, le possibilità di analisi e di creazione di nuove categorie
estetiche. Tale studio ha dato vita ad altri interventi in forma di saggio e
articolo e successivamente,
all’antologia di racconti
tradotti con testo a fronte e introduzione dal titolo Le tracce del
mostro nella tradizione britannica tardomedievale. La candidata si è
inoltre occupata in maniera non continuativa ma rilevante e perspicua di
Shakespeare e del teatro
elisabettiano (Coriolanus e The Tempest). La sua produzione
scientifica che presenta una notevole maturazione con le ultime pubblicazioni,
va completata con studi monografici più
recenti.
Giudizio
della Prof. DANIELA GUARDAMAGNA:
La candidata presenta due monografie, una succinta
ed interessante pur nella sua brevità, l’altra, il volume su Sterne,
decisamente ottima.
Nel primo caso (Le
soglie della scrittura, Napoli 1999), Laudando indaga sui rapporti
lettura-scrittura-lettura critica nell’opera di Woolf e Morrison, con fascinose
citazioni da Duras (che aprono sia l’introduzione sia il primo capitolo della
parte dedicata a Morrison) nella prospettiva di una indagine degli spazi
liminali e con l’utile supporto delle teorizzazioni di Genette (soprattutto Seuils) e Derrida.
Il secondo e più ampio volume, Parody, Paratext, Palimpsest. A Study of Intertextual Strategies in the
Writings of Laurence Sterne, Napoli 1999, derivato dalla tesi di dottorato
discussa all’Università di Manchester, è un ottimo studio delle strategie
retoriche e i paratesti di Sterne, confrontati nei primi due capitoli con
quelli swiftiani nella Tale of a Tub,
poi considerando l’omaggio sterniano a Rabelais e procedendo a indagare le
strategie di scrittura soprattutto del Tristram
Shandy, ma anche del Sentimental
Journey, anche collegandole – nel IV capitolo – con l’opera di Hogarth.
Solido e provvisto di un profondo e consistente
sistema di riferimento critico, dai testi specialistici dedicati agli autori in
esame alle formulazioni teoriche di Genette, Said, Derrida, Steiner e altri,
questo testo definisce Laudando come una studiosa seria e promettente che
sembra avviata alla piena maturità.
Altre pubblicazioni presentate sono quattro
curatele. A Le origini e le forme del
romanzo inglese. Teorie a confronto (con Daniela De Filippis, Napoli 2005),
volume ricco di saggi a firma illustre, da Lombardo a Ferrara, Laudando
contribuisce con una postfazione (“Al crocevia di fertili negoziazioni”) che
parte da Hogarth arrivando a un’analisi attenta e consapevole delle teorie
sulla nascita del romanzo, da McKeon a Barney fino alle riflessioni di Said.
Due curatele sono dedicate alla tradizione
teratologica nella letteratura inglese: il volume a cura di Laura Di Michele La politica e la poetica del mostruoso (Liguori
2002), a cui la candidata contribuisce con la curatela della prima parte che,
se si eccettua l’intrusione del Kurtz conradiano nell’ultimo saggio, è dedicata
al mostruoso fra il Medioevo e il Settecento, con una sua introduzione (che la candidata non
presenta per la valutazione) e un saggio sui “Luoghi del difforme nel
Medioevo”. L’altro volume teratologico è Le
tracce del mostro nella tradizione britannica tardomedievale (Napoli,
E.S.I. 2002), antologia di racconti con introduzione, traduzione e note della
candidata.
L’ultima curatela presentata è William Hogarth. L’analisi della Bellezza (Milano, Aesthetica
Edizioni 1999, 2001), elegante volumetto che contiene la traduzione del saggio
teorico di Hogarth e una ricca appendice bio-bibliografica.
La candidata presenta anche numerosi saggi e
recensioni. Fra i saggi, alcuni replicano o ampliano la ricerca effettuata nei
testi principali presentati, con scritti su Sterne, Hogarth, Swift (si noti anche la curatela della Modest Proposal, 2007), i ‘delicate
monsters’ da Mandeville a Shakespeare, il frammento in Virginia Woolf.
Si aggiungano a questi alcuni scritti in ambito
ottocentesco, ad esempio quello sulla Londra di Edwin Drood in Londra e le
altre, Liguori 2002; alcune pagine di riflessione beckettiana (in “Il gioco
delle pose in Hogarth, Sterne e Beckett” e in “Deluge of Fragments”,
Amsterdam-Atlanta, Rodopi 1996; Beckett è citato anche nel volume sterniano), e
soprattutto alcune riflessioni shakespeariane non occasionali (sulla Tempest, anche se ancora con la
mediazione di Hogarth, nel volume Shakespeare.
Una “Tempesta” dopo l’altra, Liguori 2005; sul Coriolanus – “Storia e
memoria in Coriolanus”, Liguori 2001,
e su Hamlet, “La doppia messinscena
della violenza in Hamlet”, Annali-Anglica 1995).
Per una piena conferma della maturità della
candidata, si attende un nuovo studio di impegno comparabile all’ottimo volume
sterniano.
Giudizio
del Prof. VITO CAVONE:
La prof. Laudando ha pubblicato due monografie: Parody, Paratext, Palimpsest (1995),
studio sulle strategie intertestuali di Lawrence Sterne, e Le soglie della scrittura. Saggio su Between the Acts di Virginia Woolf (1999).
A parte alcune curatele e traduzioni (tra cui spicca
la traduzione di William Hogarth), la produzione di Laudando si focalizza sul
Settecento e in particolare sullo studio del grottesco e del mostruoso, con
alcuni interventi shakespeariani su Hamlet
e Coriolanus, ed altri teorici sul
romanzo.
La
produzione della candidata rivela una padronanza degli strumenti ermeneutici,
che va però applicata con maggiore continuità.
Giudizio
collegiale:
La candidata presenta una monografia, Parody, Paratext, Palimpsest. A Study of
Intertextual Strategies in the Writings of Laurence Sterne (1995), derivata
dalla tesi di dottorato discussa all’Università di Manchester. Si tratta di un
ottimo studio delle strategie retoriche e dei paratesti di Sterne, confrontati
nei primi due capitoli con quelli swiftiani del Tale of a Tub; dopo l’omaggio sterniano a Rabelais, procede a
indagare le strategie di scrittura soprattutto del Tristram Shandy, ma anche del Sentimental
Journey, collegandole – nel IV capitolo – con l’opera di Hogarth. È un
lavoro solido e arricchito da un profondo e consistente sistema di riferimento
critico che va dai testi specialistici dedicati agli autori in esame alle
formulazioni teoriche di Genette, Said, Derrida, Steiner e altri. La candidata
ha poi scritto un volumetto, Le soglie
della scrittura (1999), che, articolato in due parti, si occupa di Virginia
Woolf (“La scrittura ‘anfibia’ di Between
the Acts”) e di Toni Morrison (“La scrittura poliritmica di Jazz”) senza raggiungere risultati
critici particolarmente soddisfacenti. Più convincenti sembrano i lavori in cui
all’esplorazione della corporeità fa riscontro l’approfondimento del grottesco
e del mostruoso. Si vedano i saggi “Luoghi del difforme nel Medioevo” (2002),
l’introduzione all’antologia di racconti Le
tracce del mostro nella tradizione britannica tardomedievale (2002) e “
‘Unsettled Islands’ and ‘Delicate Grotesque’” (2007). Oltre ad alcuni
interessanti lavori sulla drammaturgia shakespeariana (Hamlet, Coriolanus e The Tempest), la candidata presenta
anche un saggio dedicato al Dickens di The
Mystery of Edwin Drood, che, per quanto non particolarmente innovativo nel
suo sviluppo e nella sua conclusione, conferma l’ampiezza dei suoi interessi.
Si segnala inoltre la traduzione e cura di L’analisi
della Bellezza di William Hogarth, lavoro accurato e denso di cui dà
testimonianza il voluminoso apparato di note che contribuiscono a immettere il
testo di Hogarth all’interno di una strategia che indaga, insieme alle modalità
di rappresentazione della Londra del tempo, le possibilità di analisi e di
creazione di nuove categorie estetiche. Seria, rigorosa e impegnata, la
candidata, dopo la monografia su Sterne del
Per questo si auspica che,
sulla linea di una ricerca che si è già rivelata produttiva, possa pervenire a
un ulteriore studio monografico che confermi la sua maturità di studiosa.
Candidato LEO
MARCHETTI
Giudizi
individuali:
Giudizio
del Prof. FRANCESCO MARRONI:
Versatile, culturalmente
molto preparato, capace di spaziare dal Medioevo (Beowulf) alle tematiche traduttologiche, dai drammi di Shakespeare
alla fantascienza classica, Leo Marchetti è uno studioso che sa mettere in
campo e sviscerare sapientemente problematiche in cui la dialettica
testo/contesto gioca un ruolo non meno importante delle dinamiche dei sistemi
culturali e dell’opposizione ortodossia/eterodossia in una visione della
letteratura inglese che rimane sempre e in ogni caso un territorio ricco di
stimoli e suggestioni. Di qui la sua monografia Eliot (1983) che, apparsa in una collana di ampia divulgazione (“Il
Castoro”), è in realtà molto più di un’opera di presentazione dell’opera
eliotana, visto che in essa è tratteggiata un’immagine del poeta
controcorrente, stimolante e problematicamente complessa nelle sue ipotesi
politiche. All’opera eliotiana il candidato dedica anche altri contributi. In
particolare, saggi su Four Quartets
(1988), Criterion (1993), The Idea of a Christian Society (2001) e
“Burnt Norton” (2007). Sulla stessa linea di ricerca s’inscrivono anche un
lavoro su Virginia Woolf (1992) e soprattutto gli studi su James Joyce.
Infatti, oltre ad aver curato il volume Topografie
per Joyce (2004), Marchetti è autore del denso saggio “Joyce e Dante”
(2006) in cui viene proposto un raffinato parallelismo fra Joyce e Dante alla
luce di un comune sentire e di una comune risposta al tema della politica e
della nazione.
Anatomie
dell’altro. L’immaginario teratologico nella letteratura inglese (2004)
raccoglie una serie di illuminanti saggi in riviste e articoli apparsi in atti
di convegni. Il volume, costruito secondo la linea teratologica, esplora con
intelligenza i topoi
dell’alterità/mostruosità e, al tempo stesso, testimonia dell’ampiezza delle
conoscenze e delle capacità critiche del candidato: dopo un primo capitolo
incentrato sul mostro da Beowulf a
Poe, gli altri capitoli affrontano autori diversi (Joseph Hall, Shakespeare,
Swift, Mary Shelley, H. G. Wells, R. L. Stevenson, John Wyndham, Orwell e
altri) secondo un’interpretazione volta a dimostrare la fenomenologia della
trasgressione attualizzata dagli autori presi in considerazione.
Un’altra
area di interesse è costituita dalla
letteratura vittoriana, che ha visto il candidato impegnato con articoli e
contributi su temi diversi: Tess di
Thomas Hardy (1995), l’immaginario
antivittoriano di Carlyle ed Emerson (1996), Dracula di Bram Stoker (2006), Poe e Conan Doyle (2006). Ai
fini della presente valutazione comparativa non possono essere presi in
considerazione i volumi Edgar Allan Poe: la scrittura eterogenea
(1988) e Il tempo e il fuoco (1999) sui primi romanzi di Kurt Vonnegut Jr.
Il candidato appare impegnato su molti versanti e presenta
una serie di lavori – spesso con un fitto intreccio fra letteratura inglese e
letteratura nordamericana – che sono il risultato di una riflessione fondata su
solide basi culturali. I suoi lavori, anche sul piano della estensione, sono
espressione della raggiunta maturità. Per questo, si ritiene di esprimere un
giudizio positivo sulla produzione scientifica di Leo Marchetti.
Giudizio
della Prof. MARIANGELA TEMPERA:
Laureato nel 1973, è professore associato di
Letteratura Inglese presso l’Università di Chieti-Pescara dal
Nella sua trentennale
attività di ricerca, si è dedicato principalmente alla Letteratura
Anglo-Americana con saggi e monografie su T.S. Eliot, Poe, Emerson. Nel campo
della letteratura inglese, si è occupato del gotico (cura e introduzione a due
antologie), della letteratura vittoriana (con, tra gli altri, un interessante
saggio su Thomas Hardy: “ Tess e l’ineluttabile modalità dell’essere”,
1995) e del primo Novecento. (Topografie per Joyce, curatela e saggio,
2004). Altri saggi sono stati rielaborati in Apocalisse: Percorsi della
letteratura inglese e americana del Novecento (1995) che esplora
l’importanza del tema dell’ apocalisse nella letteratura del Novecento. Il suo
più recente contributo in forma di volume, Anatomie dell’altro (2004),
indaga il tema della spettacolarizzazione del diverso nella letteratura inglese
da Beowulf a Wyndham. In Anatomie,
l’integrazione di lavori già pubblicati in un compiuto discorso monografico è
più riuscita che in Apocalisse.
Entrambi i volumi sono sorretti da una solida cultura letteraria e filosofica.
Dall’insieme dei suoi
lavori, appare evidente che la specializzazione di Leo Marchetti è in
Letteratura Anglo-Americana, settore disciplinare a cui ha riservato i suoi
contributi più originali.
Giudizio
della Prof. ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:
Il candidato Leo Marchetti, Professore Associato di
Lingua e Letteratura Inglese presso
L’attività scientifica del candidato si caratterizza per continuità
temporale e per ampiezza di interessi, tratto che si evince dalla copiosa
produzione presentata. Le sue competenze tuttavia sono essenzialmente orientate
nel settore scientifico-disciplinare L-LIN11, come segnalano i volumi Edgar
Allan Poe: la scrittura eterogenea, Ralph Waldo Emerson e Il tempo e il fuoco. I primi romanzi di Kurt Vonnegut jr, di
ambito americanista.
All’ambito
più specificatamente congruente con il settore scientifico disciplinare per cui
concorre il Prof. Marchetti contribuisce con due volumi. Per quanto concerne il
primo dal titolo Apocalissi. Percorsi
della letteratura inglese e americana del Novecento, la trattazione del
tema dell’apocalisse si staglia su un solido quadro teorico-critico di
riferimenti a testi come The Sense of an
Ending (1966) di Kermode, ll senso
del futuro (1970) di Pagetti (sulla fantascienza americana), New Worlds for Old (1974)
sull’immaginazione apocalittica nella narrativa fantascientifica. Il volume
analizza vari percorsi della narrativa inglese e americana dai Four Quartets di T.S. Eliot, a 1984 di Orwell, dai racconti di
Lovecraft, a Night and Day di V.
Woolf, alla narrativa di John Wyndham.
Nel secondo volume del 2004 dal titolo Anatomie dell’altro, egli indaga
l’alterità come mostruosità attraverso un amplissimo arco temporale della
letteratura inglese, partendo da Beowulf,
non tralasciando le mostuisità di Caliban in The Tempest, fino ai Gulliver’s
Travels, il mostro senza nome di Victor Frankenstein, i mondi mostruosi di Wells
e, nell’ambito della letteratura fantastica inglese del novecento, testi come The Chrysalids di John Wyndham. Il testo
ricostruisce vari percorsi illustrando progressivamente come il mostro
acquisisca progressivamente una non meglio definita disarmonia che chiama in
causa la malinconia e la follia sintomi
di alienazione.
Il candidato ha inoltre svolto una proficua
attività di coordinamento che viene segnalata da curatele con introduzione e/o
saggio, quali Topografie per Joyce, Poeti
traduttori esteti e La musica delle
stagioni. Nella introduzione a Amori
e Rovine di M. Sette, la trattazione di alcuni racconti del genere gotico è
occasione per indagare le specifiche
relazioni che ciascuno di essi intrattiene con le convenzioni del genere e con
i topoi del canone gotico. Si
segnalano i saggi sulla traduzione
letteraria, “Francesco Contaldi traduttore di S.T. Coleridge” in cui l’analisi
parte da una rapida contestualizzazione del dibattito sulla traduzione nel
secondo Ottocento e prosegue attraverso una lettura contrastiva delle scelte
traduttive di Contaldi e di Enrico Nencioni del 1889, e “Alcune traduzioni
novecentesche della Rime of the Ancient
Mariner” , analisi contrastiva di alcune traduzioni - Emilio Cecchi,
Roberto Ripari, Maria Luisa Cervini - di Coleridge che procede attraverso una
indagine filologica e opportunamente apre ampie parentesi sulle ‘ideologie’ e
sul contesto culturale che sottende le scelte traduttive. Nel complesso la
produzione scientifica del candidato risulta ampiamente orientata verso altro
settore scientifico disciplinare.
Giudizio
della Prof. DANIELA GUARDAMAGNA:
Leo Marchetti presenta una produzione assai vasta,
ma con volumi e articoli dedicati ai classici della letteratura americana (Poe,
Emerson) in misura prevalente rispetto ai testi che si occupano di letteratura
inglese. Alcuni dei testi strettamente assegnabili al campo dell’americanistica
possono a mio avviso essere considerati anche per il settore
scientifico-disciplinare in oggetto: certamente ad entrambe le culture
appartiene T.S. Eliot, e mi pare lecito inscrivere nella tradizione letteraria
inglese le importanti distopie di Vonnegut, che Marchetti confronta con testi
fondamentali di questa tradizione, da Swift a Huxley a Orwell.
La produzione che viene presa in esame in questa
sede comprende quindi vari testi, a partire dal volumetto del 1983 dedicato a
tutta l’opera di Eliot (“Castoro”,
Il testo su Vonnegut La narrativa di Kurt Vonnegut Jr. è presentato nella sua riedizione
successiva, Il tempo e il fuoco. I primi
romanzi di Kurt Vonnegut Jr., che - come si dichiara nella postfazione - è
una ristampa edita nel 1999 di La
narrativa di Kurt Vonnegut Jr. (Pescara 1980), con l’aggiunta appunto
della postfazione “Centomila sigarette
dopo” in cui si discutono brevemente le opere di Vonnegut successive all’uscita
del volume. Come si accennava nella premessa, i testi principali di Vonnegut,
in particolare Player Piano e The Sirens of Titan, sono confrontati
utilmente con testi appartenenti al genere della distopia (che Marchetti
definisce purtroppo “distopy” anziché dystopia),
in particolare le opere di Huxley e Orwell, e con i Travels swiftiani.
Ricorderemo poi alcune raccolte di saggi:
Per quanto riguarda i saggi presentati, alcuni sono
dedicati ancora a temi gotici: il saggio “Il treno e l’astronave”, da Dickens a
Bram Stoker e Wells (Aracne 2006) e l’introduzione al volume curato da Miriam
Sette (Amori e rovine, Pescara 2000).
Ci sono poi vari saggi dedicati ad autori otto e novecenteschi; oltre a quelli
raccolti in volume e a qualche saggio su autori trattati nelle monografie
(vedi ad esempio i saggi su Eliot) ci sono scritti
su Jane Eyre (RSV 1999), sulla Tess di Thomas Hardy (Pescara 1995),
Carlyle e Emerson (RSV 1996), Yeats
(Pescara 1998), e tre saggi sulle traduzioni italiane di Colerigde, in
particolare quelle dell’abruzzese Contaldi.
All’esterno dei parametri temporali indicati sono il
ricco e articolato saggio su Thomson (Venezia 2007), quello su Joyce e Dante
(Liguori 2006), quello su Doctor Faustus
marloviano (Pescara 2004) e quello sulle versioni cinematografiche del Richard III shakespeariano (Bulzoni
2002).
Pur apprezzando la poliedricità degli approcci,
l’impegno profuso e la sensibilità dello studioso, è inevitabile rilevare che
nell’ambito dell’anglistica la piena maturità scientifica non è raggiunta.
Giudizio
del Prof. VITO CAVONE:
Oltre ad alcuni volumi su
autori anglo-americani, che comunque istituiscono paralleli con la cultura
inglese, le monografie del prof. Marchetti sono: Eliot
(1983) e Anatomie dell’altro (2004),
sul tema del mostro dal medioevo alla modernità, e il volume Apocalissi 1995) che spazia tra
letteratura inglese e americana.
I due volumi di curatela (Topografie di Joyce, 2004; La
musica delle stagioni, 2008), contengono del curatore puntuali
introduzioni/prefazioni e un saggio ciascuno.
La produzione saggistica, vasta e variegata,
presenta un prevalente interesse per la letteratura gotica, come dimostra il
volume di racconti anonimi a cura del Marchetti Anonimi gotici, Danza macabra (1991) e per la letteratura
fantascientifica, evidenziata dai due volumi su Vonnegut e la tradizione
inglese del genere.
La produzione scientifica del candidato nella
sua grande versatilità di interessi e molteplicità di metodologie ermeneutiche
testimonia una raggiunta pienezza di
maturità critica.
Giudizio collegiale:
Nella sua trentennale attività di ricerca, il
candidato si è dedicato principalmente alla Letteratura Anglo-Americana con
saggi e monografie su T.S. Eliot, Poe, Emerson. Nel campo della letteratura
inglese, si è occupato del gotico (cura e introduzione a due antologie), della
letteratura vittoriana e del primo Novecento.
La produzione che viene presa in esame in questa sede comprende vari testi,
a partire dal volumetto del 1983 dedicato a tutta l’opera di Eliot (“Il
Castoro”), un lavoro ancora assai leggibile e utile per una divulgazione colta.
Sulla linea della ricerca teratologica, si segnalano Anatomie dell’altro. L’immaginario teratologico nella letteratura
inglese (2004) con saggi dedicati a vari ‘mostri’, dal Grendel del Beowulf al Riccardo III shakespeariano
al Frankenstein di Shelley ai mostri
dei “decadenti gotici”, Wells, Stevenson, Bram Stoker e così via, fino alla
Chrisalis e al Kraken di Wyndham. Altri saggi sono stati rielaborati in Apocalisse:
Percorsi della letteratura inglese e americana del Novecento (1995) che
esplora l’importanza dell’immaginario apocalittico nella letteratura del
Novecento. Il più recente contributo, Anatomie dell’altro (2004), indaga
il tema della spettacolarizzazione del diverso nella letteratura inglese da Beowulf
a Wyndham. Da notare il capitolo sul Mundus
alter et idem di Joseph Hall, che – pur a tratti semplificando il dibattito
sull’utopia come genere letterario – contiene alcune pagine interessanti sugli
‘scoronamenti’ rabelaisiani rispetto all’Utopia
di More, sull’utopia di Gonzalo e su quella di Caliban nella Tempest shakespeariana. A La
musica delle stagioni. Fenomenologia del tempo nelle letterature inglese e
italiana (2007) il candidato contribuisce, oltre che con una breve
prefazione, con un saggio sul Burnt
Norton eliotiano; a Topografie per Joyce (Aracne 2004) con
un’introduzione ricca di dati bibliografici, utili anche se inevitabilmente non
esaustivi, e con il bel saggio “Bloom nel labirinto del mondo”. Infine, a temi
gotici è dedicata la raccolta di racconti anonimi scritti tra la fine del
Settecento e l’inizio dell’Ottocento, dal titolo Danza macabra, con introduzione e traduzione (1991).
Pur apprezzando la
poliedricità, l’ampiezza di interessi, l’impegno profuso e la sensibilità dello
studioso, bisogna rilevare che, nell’ambito dell’anglistica, la produzione non
attinge a una completa e convincente scientificità.
La
seduta è tolta alle ore 17.00 e si riconvoca per lo stesso giorno, alle ore
17.30.
Letto,
approvato e sottoscritto seduta stante.
Il Presidente
Prof. Francesco
MARRONI______________________________________
I
Commissari
Prof.
Mariangela TEMPERA ______________________________________
Prof. Anna
Maria SPORTELLI LIPPOLIS____________________________
Prof.
Daniela GUARDAMAGNA __________________________________
Il Segretario
Prof. Vito
CAVONE____________________________________________